lunedì 31 dicembre 2012

L'anno che verrà



Domani saremo nel 2013. Detta così sembra una cosa normale, innocua e trasparente. Invece lasciatemi dire, per una volta, che è una gran figata. 
Sono questi i casi in cui spopolano le condivisioni sui social di canzoni come "L'anno che verrà" pezzo immortale di Lucio Dalla (troppe volte chiamata "Caro amico ti scrivo..." dai profani), io invece punto l'accento sulla divisione che si crea inconsciamente nella popolazione poche ore prima dello scoccare della mezzanotte.
Da una parte ci sono quelli che tracciano il bilancio dell'anno precedente, dall'altra quelli che fanno previsioni sull'anno venturo. Ho deciso di schierarmi tra i secondi, e non me ne vogliano i primi. 

Ho deciso di guardare avanti per il semplice fatto che mi piace farlo con ottimismo, non per altro. Allora la domanda è lecita: cosa mi aspetto dal 2013?

Beh, innanzitutto chiedo al nuovo anno la serenità della mia famiglia. Essenziale che ci sia, non aggiungo altro in merito.

Poi vorrei che tutti i dubbi che ho in testa si sciogliessero in un istante. Non sono tantissimi, per il momento, ma è importante che abbia le idee chiare.

Chiedo poi al 2013 un po' di fortuna in un paio di situazioni (e non parlo di soldi). 

mmm... vediamo....Ecco! Come non chiedere la laurea? Sembra così lontana... ma vuoi vedere che non lo è?!

Chiedo la forza di essere sempre altruista, anche se le circostanze mi impongono il contrario. E chiedo alle persone che mi vogliono bene di accettare sempre quello che ho da offrire loro.

Chiedo l'ispirazione costante, in ogni istante della giornata, in modo da lavorare meglio.

Chiedo che i miei amici mi stiano sempre accanto.

Chiedo al 2013 più brillantezza del 2012...

Chiedo al 2013 la mia felicità.


P.S. Alla fine ho ceduto, l'ho condivisa anche io... è stato più forte di me. Se non altro lo dovevo allo stesso Lucio. Quello alle porte è il primo Capodanno in cui la sua voce risuonerà nelle case di tutta Italia senza che lui stesso possa ascoltarla. Ma sono certo, anzi certissimo, che l'eco giungerà fin lassù...





FRANCIO


domenica 23 dicembre 2012

Chi mi ama, mi segua. Chi non mi ama, almeno creda in me.





Stanotte avevo voglia di scrivere.
Può capitare anche questo se lo fai per mestiere e le mani non hanno intenzione di fermarsi nemmeno se le vogliono ammanettare.

Non so spiegarla per davvero questa propensione, so solo che a volte se non scrivo è come se mi legassero o mi mettessero un bavaglio. Questo posto, questa Camera, questo blog, è per certi versi una boccata di ossigeno per i miei pensieri e per le mie idee, talvolta confuse, disordinate e disastrate. E' bene che lo utilizzi per il meglio e  per trasmettere anche a chi lo legge tutto ciò che penso.

Quando scrivo - dicevo -  lo faccio per inerzia,  ma mai senza una giusta causa. Stavolta stavo riflettendo su quanto si può essere cretini nella vita. Ci si preoccupa per delle cazzate quando non ne vale la pena e allo stesso tempo si riesce a trascurare i problemi veri, quelli che davvero possono far male.

Dico per inciso che il 90% delle scelte che ho compiuto a livello personale negli ultimi mesi le ritengo sbagliate, non perchè io sia autocritico, anzi. Ad esempio c'è chi mi definisce complicato perchè mi faccio troppi problemi, ma in realtà le mie non sono preoccupazioni, ma interessi nemmeno troppo personali. Essi derivano dal fatto che cerco sempre di capire i bisogni altrui per rendermi disponibile. Faccio il possibile, anche attraverso questo blog, e ammetto che sono anche un tantino invadente. Ovviamente sono pochissimi quelli che capiscono i miei reali obiettivi. Forse vi spaventano le persone altruiste?

Fatto sta che questo giochino mi è costato un po' di rapporti che avrebbero potuto essere migliori ed in certi casi diversi. Le persone tendono ad allontanarsi da chi vive una vita diversa dalla loro, fatta di qualche stento in meno ma anche di qualche attenzione in più. Tendono ad eclissare quelle che sono le vere priorità per affacciarsi ad una giornata di routines e superficialità che nel breve paga, e pure tanto, ma che alla lunga - almeno per come la vedo io - comincerà a far trapelare scricchiolii imbarazzanti.

Non è un attacco nei confronti di nessuno, ma un monito a me stesso a non cambiare mai, perchè cambiare non serve a niente. Me ne rendo conto giorno dopo giorno, anche e soprattutto quando la mia ruota non gira per niente come sta avvenendo di questi tempi. E' in questi momenti che mi viene da pensare a chi mi è stato sempre vicino. A chi ha lottato sempre con me in ogni battaglia e chi continuerà a farlo. A loro dico che non saranno mai soli, qualunque cosa accada. A costo di vendere tutti i miei averi, di perdere la dignità, di restare io stesso solo come un cane, questi mi avranno al loro fianco con sostegno incondizionato.

Perchè anche se la vita ha spesso insegnato che le persone tradiscono, c'è chi si erge al di sopra dei canoni di "persona". A questi esseri soprannaturali va il mio semplice e sentito ringraziamento.


Buona vigilia e buon Natale a tutti...


FRANCIO

martedì 11 dicembre 2012

IMMENSA






Ti ho vista ridere quando altri piangevano,

piangere quando altri ridevano.

Ti ho vista darmi l'amore inesplorato, la gioia di un gelato.

Ti ho vista stesa al sole a riscaldarlo

e in piedi nella pioggia a soffiare via le nuvole dal cielo.

Ti ho vista trattarmi come un figlio, anche se figlio non sono.

Ti ho vista abbracciare mio zio come solo tu sai fare

e baciare l'altro zio nel giorno più speciale.

Ti ho visto bella, come il Natale,

sempre a donare gioia. Gioia primordiale.

E poi ti ho vista, infine, in un letto d'ospedale.

Solo per un attimo, un bacio e mi son perso.

Il tempo di capire che sei come l'universo.

Francio

venerdì 7 dicembre 2012

Tra Albero e Prese...nte




<<Francesco, sveglia! Oggi abbiamo da fare...!>>
La voce di mamma mi costringe ad aprire gli occhi in un baleno. Oggi niente scuola, niente latte bevuto in fretta e niente cartoni alla tivù. Il cielo è terso, di quelli tipici invernali, ma per lo meno la maestra Carmen non mi interrogherà perchè la Santa Messa mi attende puntuale.
Tanto puntuale che oggi mi verrebbe di paragonarla ad un uomo innamorato.
Non è un giorno qualunque nemmeno quest'anno. E' l'8 dicembre, l'Immacolata Concezione, e  la tradizione di casa Carluccio deve essere rispettata.

A me,che sono il più piccolo, tocca quel tipo di lavoro che farebbe brillare gli occhi ad ogni bambino: Messa, supermercato, negozio di addobbi natalizi  - per comprare le "luci ingarbugliate"  -  e poi via..! All'opera per la "costruzione" di Albero e Presepe.
Quando hai poco meno di dieci anni ti sembra tutto così fantastico e mettere in atto la scenografia del Natale non è una cosa da prendere per il sottile quando in sottofondo i canti di Michael Jackson, Celentano e di tutti gli artisti americani possibili ed immaginabili, accompagnano la posa dei pastori e quella dei desideri.
Perchè in fondo è inutile negarlo: ad otto anni mentre metti il bue nella capanna magari stai già pensando se Babbo Natale ti porterà quello che gli hai chiesto nella tua letterina. Funziona così. E' il gioco che lo impone!

Dicevo di quei giri immensi a cui mamma mi sottoponeva. Beh, era fantastico perchè innanzitutto usciva sempre fuori qualcosa da mangiare (io pregavo per una barretta di cioccolato, di quelle grandi...) e poi perchè da bambino uscire di mattina mano nella mano con lei era un'esperienza meravigliosa. A renderla unica era il nostro "mestiere". Uno dei pochi giorni invernali in cui era possibile fare un giro con lei di buon ora era proprio quello dell'Immacolata, visto che - io da studente e lei da insegnante - dal 2 novembre in poi eravamo stati sempre impegnati con la scuola.

Vivevo ancora coi nonni e ricordo che l'albero che avevamo era davvero particolare, e il bello è che esiste ancora perchè mio nonno continua a farlo nonostante sia malridotto e da buttare. Non vuole comprarne un altro perchè i ricordi han preso anche lui. Nessuno sfugge ai ricordi.
Pensate che quell'albero diventava più piccolo ogni anno che passava, o forse - chissà - ero semplicemente io a diventare più grande! All'inizio lo vedevo come una cosa immensa, poi pian piano è divenuto una pianta con dei fiocchi rossi che a stento mi arrivava al collo. Mi sto ancora chiedendo come sia possibile...
Sarà che si cresce e si tasta il senso delle cose. Le tocchi con mano e ti rendi conto che la messa in scena dell'8 dicembre altro non era che una cosa montata ad arte per me dalla mia famiglia. Soltanto per me.

Ho vissuto in un posto in cui i valori sono sempre stati importanti e possono essere riassunti in giornate come questa, passate alla storia per l'aggregazione, il calore e la gioia dello stare insieme. Mia nonna che mi passava San Giuseppe in miniatura, mio nonno che cercava di vedere le partite del campionato inglese di calcio al pomeriggio e mio padre che telefonava da lavoro per capire se stesse andando tutto bene. Qualche cambiamento, al suo ritorno, lo avrebbe attuato pure lui mettendoci lo zampino.

Dicono che a distanza di qualche anno le cose siano cambiate. E' facile sentire commenti come <<non è come prima>> oppure <<non sento l'atmosfera di una volta>>. Beh, io penso che sia sempre bello farsi un giro in strada di questi tempi, perchè  riempie il cuore di gioia e fa assaporare un po' di cara vecchia nostalgia. Girare tra i negozi e la gente rende essenziale soprattutto un messaggio: il Natale è dentro di noi e da nessun'altra parte.Ognuno lo vive sulla base delle magie vissute in un tempo neanche troppo lontano.

Quindi fate un regalo a voi stessi: chiudete gli occhi.

Io lo sto facendo e mi sembra già di sentirla di nuovo.
<<Francesco, sveglia! Oggi abbiamo da fare...!>>
Chissà se andremo mano nella mano a comprare le "luci ingarbugliate". E chissà se mi comprerà anche stavolta quella barretta di cioccolato...

Francio

giovedì 22 novembre 2012

Francesco è anche questo.



Mi sono perso troppo in chiacchiere negli ultimi tempi, scribacchiando cose a volte senza senso e romanzando forse in modo esagerato sulla trattazione di argomenti banali. 
Ho capito che forse stavo esagerando. 
Certo, parlare di Aruta (lo nomino ora, prima non lo avevo fatto...), di quell'intervista e dei suoi complimenti non è semplice fantasia ma evento reale  - e per fortuna genuino  - che porterò di sicuro sempre con me. Oltre quello, però, una marea di chiacchiere. La testa, il cuore, le emozioni, i se e i ma, rappresentano cose che aprono forse la mente ma non sono in grado di inquadrare la reale situazione di una persona, di un uomo che sta semplicemente cercando di capire di che pasta è fatto.
Io sono Francesco da 22 anni,  7 mesi e 18 giorni. Non è passato poco tempo da quando ho visto la luce, semmai ne è passato troppo per non pensare di potermi finalmente chiedere se sto facendo quello che dovrei fare. 
Devo dire innanzitutto che non sono quello delle elementari, non solo fisicamente (e ci mancherebbe!). E' uguale la passione per la prosa e la poesia, una passione che definirei "anarchica" perchè  non dettata dallo studio di testi  ma da un modo di vedere le cose differente. Francesco è cambiato. " 'Mbè?Cosa normalissima!", direte. E invece no, conosco persone che non sono cambiate di una virgola nonostante l'età ormai matura e si sentono vere, leali ed oneste. Come giusto che sia. Basta scrutare per bene e le trovate.
Ecco, è questo quello che ho fatto negli ultimi tempi. Mi sono guardato un po' intorno. 
L'ho fatto per capire prima di tutto cosa stesse accadendo a me stesso, al lato concreto delle cose. Ho deciso di smettere per un attimo di filosofeggiare (sic.!) e soffermarmi sulle certezze più che sulle ambizioni che restano comunque il sale della mia esistenza.
Le certezze -  ricordatevelo sempre -  man mano che passano gli anni saranno sempre di meno. Quindi tenetevi strette quelle che avete già, prima di pensare a cercarne delle altre per puro sfizio. Preservare, nella vita, credo sia il primo atto di fede nei confronti di se stessi e delle persone che si amano per davvero. E poco importa se il bene o l'amore non è corrisposto, ognuno di noi conosce i propri sentimenti e questo basta e avanza. 
Chiusa questa parentesi sulle certezze (porca zozza mi ero promesso di non divagare!!!), torno a me. Devo mettermi nella condizione di cercare eternamente me stesso, e per farlo non credo serva una bussola.
Dormo poco, pochissimo, e qualcuno me lo ha fatto giustamente notare. Il perchè è presto spiegato: sono in alto mare con l'università e il pensiero degli esami mi tormenta quasi quanto il tempo massimo consentito per la stesura degli articoli. La mattina si studia (a rilento, molto a rilento...), il pomeriggio e la notte si scrive. La mia vita va avanti così, condita da relazioni personali che mi rendono orgoglioso di quello che sono. 
Mai stato modesto, ma quando ti trovi bene a parlare con una, due, tre, quattro persone lo senti. E per forza di cose è merito tuo oltre che loro. Adoro parlare con gli amici (ecco una caratteristica comune al Francesco di 15anni fa, casomai sono alcuni amici ad essere cambiati...) e ancor di più amo ridere, perchè sinceramente di affossarmi ne ho le cosiddette scatole piene. 
Da un paio di mesi a questa parte tra me e tutto il resto c'è di mezzo anche un cane, che ruba sonno quasi quanto gli articoli e gli esami. Chi non ha un cucciolo non può capire. E' fantastico vederlo, fotografarlo e accarezzarlo, ma quando vuole comandare lui bisogna fare qualcosa per cercare di trovare un compromesso. E vi assicuro che non è sempre facile. 
Ad esempio, nel momento in cui scrivo - e sono le due di notte - sta abbaiando in continuazione e pretende di giocare con il suo birillo. Non so se è normale visto che dovrebbe dormire ma me lo tengo così, perchè mi ha già salvato la pelle in giornate uggiose e merita tanto rispetto. Almeno da parte mia. 
Beh, che dire? Sarebbe tutto perfetto con qualche centinaio di pagine di storia in più già nella testa da settembre a questa parte, e invece per ora sono solo duecento su oltre mille. Non ce la farò mai e poi mai. E la cosa che sono sicuro mi ammazzerà sarà  il countdown dell'Avvento: mancano poco meno di 35 giorni a Natale, fatevi due conti.

Insomma, come farò proprio non lo so, ma ma una cosa è certa: cinque ore di sonno al giorno sono poche e devo trovare una soluzione. Diamine se devo trovarla!

Ok, ok, basta. Vi lascio ai vostri sogni, dato che per una volta non vi ho parlato dei miei. Stavolta ho fatto il razionale, ma non fateci l'abitudine. Francesco è Francesco, non lo si cambia in un istante con il semplice schioccare delle dita.
Consentitemi solo un'ultima annotazione, oltre che preghiera: vi dico sempre vivete <<a mille>> le vostre vite". Ecco,  se per caso doveste vedermi vivere la mia <<a cento>>, vi supplico di darmi un bel ceffone. Sono certo che ne varrà la pena. 

Nella foto non ho la faccia di chi vive a mille, ma mi andava di metterne una brutta e inedita, giusto per andare controcorrente fino in fondo...
Un grazie speciale a chi mi legge sempre.

FRANCIO

giovedì 8 novembre 2012

Il cuore oltre l'ostacolo




Mi faccio spesso domande conoscendo già le dovute risposte. Credo infatti che una persona convinta non la misuri dalla faccia tosta, ma dal modo in cui parla al suo cuore. C'è chi sussurra, chi urla, o chi semplicemente lo ascolta senza dirgli neanche una parola.
Ascoltare il cuore.
 Quante volte vi sarà stato suggerito? A me tantissime, anche da persone inappropriate. "Ascolta il tuo cuore - dicono - e vedrai che non te ne pentirai". Il problema è che il fosforo serve non poco in questa vita che sembra più affollata dei grandi magazzini nel periodo natalizio (a proposito, non inziate a respirarlo anche voi il clima dell'Avvento?). 
In un posto come questo, in un corpo come questo e in una vita come questa ci si ritrova sempre a chiedersi se le scelte sono giuste o sbagliate. Se è lecito affidarsi al caso, oppure ponderarle per bene.
Ecco, il cuore aiuta molto in questi casi. Anzi, direi che è decisivo.

La settimana scorsa scrissi uno dei miei tanti articoli sul periodico che ormai da più di tre anni accompagna le mie giornate. Era l'intervista ad un calciatore che giocava nel Benevento e che ho amato alla follia. E' stato il mio primo idolo, il primo vero guerriero e punto di riferimento. Anzi, direi uno dei punti di partenza di un sogno che prima o poi si avvererà, con un pò di fortuna, di coraggio e di voglia che spero mi accompagnino lungo il cammino. 
Un'intervista che scrissi con il cuore, come faccio più o meno spesso,  più o meno... sempre. Adesso lui ha 42 anni, gioca ancora in categorie minori e - cosa ancora più incredibile - segna gol come se fosse un giovanotto. E' stato fantastico, poche ore fa, ritrovarmi in posta un messaggio privato in cui mi ha ringraziato per quanto scritto oltre che lodare l'articolo dicendo che lo ha fatto leggere a tutti i conoscenti e familiari. 
Scrivere mi ha sempre dato soddisfazioni ma raramente riconoscimenti di questo tipo. Ecco perchè quando arrivano mi fanno rendere conto che valgono più di ogni altra cosa. E' come se tramutassero tutti i dubbi in mere nullità.
Mi fanno capire che in fondo il cuore, se vuoi, puoi gettarlo oltre l'ostacolo in breve tempo e che certe volte il fosforo serve a niente. 
Sapete, ci sono circostanze in cui bisogna agire d'istinto. Momenti in cui c'è da mettere i sentimenti prima del resto delle cose e convincersi che la strada imboccata è quella giusta.
Solo così potremo sapere -  alla fine di tutto -  ciò che ci spetta. Insomma, solo così potremo sapere se avremo fatto qualsiasi cosa per portare in trionfo noi stessi. 

E' necessario farlo. Perchè vivere di rimpianti, ne sono sempre stato convinto, non serve a un bel niente.

Francio.

mercoledì 17 ottobre 2012

La chiave del passato



Correva il tempo del mio primo addio. Spensierato, stralunato e nostalgico. 
Il 2002 non mi riservò solo il balordo golden gol del coreano Ahn, l'arbitro Moreno impazzito e la prima vera cotta. Fu quello l'anno in cui dovetti salutare il mio passato per la prima volta.

Poche cose segnano una rivoluzione nelle nostre vite. Certo, il matrimonio, la nascita di un figlio, il superamento di una malattia, la ricerca di un lavoro e la perdita di una persona cara sono sicuramente in cima alla lista, ma stavolta vorrei parlare di altro. Più precisamente, di quello che tutti di comune accordo definiamo "trasloco"

E' curioso come a distanza di anni mi venga in mente di fotografare le mie chiavi di casa e "incollarle" sul blog. E' curioso  pure il fatto che osservandole per bene non mi sembrino poi così vecchie. 
Ricordo ancora il giorno in cui uscendo dall'abitazione dei miei nonni l'osservai per l'ultima volta come se fosse casa mia. 

Ricordo che quando entrai nella vecchia Nubira di papà, sul balcone accanto al nostro c'era la signora Zara, inquilina del primo piano nonchè persona di riferimento della mia infanzia. Quasi si commuoveva e io non capivo perchè. Avevo dodici anni e non stavo certo partendo per l'Afghanistan.

Alzai la mano per salutarla. Non riesco a dire quale delle due mani fosse perchè nell'altra stringevo l'inseparabile Game Boy, causa sbattimento per cercare un "Pokemon raro" (la moda lo imponeva...).

Lei, la signora Zara, ricambiò. Lo sapeva bene che niente sarebbe stato più come prima per entrambi. Io ancora no.

Sul balcone di sinistra, il "nostro", c'era mia nonna. Ho un'immagine chiara dei suoi occhi lucidi. Era quasi disperata quando i miei, un anno prima, le dissero che avremmo cambiato casa per trasferirci in periferia. 

In quegli occhi c'era il rimpianto di tutte le volte che zoppicando mi rincorreva per tenermi a bada. Era claudicante, ma dietro le sue passeggiate balbuzienti si celava il sapore romantico delle poesie di Neruda.

Avevo due, tre, poi cinque, dieci anni. Mi aveva visto crescere e tirato su quando mia madre si sparava duecento chilometri al giorno per andare ad insegnare in un paesello del Molise sperduto da Dio e dal mondo. Mi sembra che si chiamasse Civitacampomarano, ma di questo parlerò un'altra volta.

I nonni, la vecchia casa, il mio passato. Di tutto non posso che conservare ricordi ed insegnamenti che mi stanno spingendo verso la vita da grande. 
Tutti i giorni, tornando da scuola, prendevo dal divano il Corriere dello Sport che mio nonno aveva appena comprato. Potevo restare ore a leggerlo dalla prima all'ultima pagina (a volte saltavo anche i compiti, ma non ditelo a nessuno) e credo che sia stato questo, insieme alla visione di un cartone animato come Tin Tin, a condurmi a piccoli passi verso il sogno di fare il giornalista. 

Oggi, mentre ero impegnato a studiare il libro di storia, ho preso il mio cellulare di ultima generazione (se lo vedesse nonna chissà cosa direbbe...) e mi è venuto l'impulso di scattare una foto. Non so perchè, non so per come, non so nemmeno cosa aprano davvero. Se spalancano le porte di casa mia o della casa di qualcun altro. 
Di certo, oggi, sono state necessarie per accedere alla mia "Camera con vista". 

A dicembre saranno dieci anni che non vivo più al numero 4 di Via Cosimo Nuzzolo, ma quel giorno fatto di saluti e di addii sembra passato solo da qualche settimana. Il Game Boy viola adesso è nel cassetto, insieme al sogno che un giorno questi ricordi possano darmi la forza che serve a muoversi nel traffico. 



Parole "Chiave"
Il cuore rosso è del Natale 2006  un regalo di amiche che non dimenticherò mai. Prima che la scritta si cancellasse c'era scritto "Te Voglio Bene, Occhei? Nun t'o Scurdà!" E infatti non lo dimentico....
Lo scudetto della Juve risale invece al 2005 e mi ricorda uno dei tanti viaggi a Torino per far visita ai miei parenti e alla mia squadra del cuore (9 marzo: Juventus-Real Madrid 2-0 Trezeguet-Zalayeta)
Il ciondolo della "3" simboleggia il concerto dei Negramaro a Benevento, sempre nel 2006, serata di un'estate unica.
Il portachiavi del Paris Saint Germain è riferito al viaggio a Parigi del 2010. In promozione con la rete telefonica Orange francese lo distribuivano gratuitamente nei punti della città. Non poteva sfuggirmi.
Infine, il portachiavi dei Puffi del 2011 è un omaggio di una delle persone più importanti della mia vita. Mia zia Carmela. 

Tutta questa roba apre la casa in cui vivo dal dicembre 2002: Via Acquafredda 24, Benevento. 
Se vi trovate da queste parti fatevi un giro che vi offro un caffè... 

FRANCIO

venerdì 12 ottobre 2012

Un angelo col ciuffo



Danza fluttuando nella polvere dei sogni,
sembra un angelo col ciuffo e con le ali ben nascoste.
Esprime sornione la voglia di vivere a tutto tondo
e assapora le gesta di un'esistenza ancora da godere.
Tra le mani stringe un pallone che è un mappamondo
e così tiene in scacco passato, presente e futuro: nelle sue grinfie.

Lo ricordo ancora bambino vincere le sue prime battaglie
ma è avviandosi alla vita da uomo che riscopre valori mai persi.
Il bacio alla mamma, la carezza alle mani ruvide del papà,
un abbraccio sentito a chi da lassù gli indica la strada.
E' tutto in quegli occhi brillanti pieni di vigore.
Guai a chi li spegne. Guai a chi ne guasta il sapore.

Il mio giorno senza lui è un gelato caldo,
una macchia di caffè in una tazza di latte.
Serve poco, quasi niente, a strapparmi la gioia;
osservarlo è quel che basta per perdersi beatamente.
E' uno specchio di me nei momenti profondi.

Forse non lo sa, ma saremo per sempre fratelli di sangue.


                                                                                                         FRANCIO





mercoledì 10 ottobre 2012

Ci siamo cascati tutti...!



Lasciate che vi spieghi cosa è successo.

Mettiamola così: un pomeriggio di ottobre non potrà mai essere un pomeriggio come tutti gli altri. 
Non a caso ne avevo già parlato un paio di "post" fa, e il messaggio era chiaro: l'autunno è un'altra cosa.
Sono certo che Arisa mi capirà (ne approfitto per salutarla perchè è mia assidua lettrice). Sì, sono sicuro che comprenderà le buone intenzioni del mio tentato plagio al titolo di una sua canzone che mette i brividi, un po' come la sua voce. In fondo ci azzecca no?

Ma bando alle ciance. 

Erano più o meno le tre quando mi sono sono uscito un attimo sul balcone della mia camera e mi sono messo a riflettere. Non ci ho perso molto tempo, diciamo quel tanto che basta per mandare in tilt un cervello che ultimamente gira a vuoto. 
"Camera con vista" ha ancora senso di esistere? E' questa la domanda che mi sono posto.
Il perchè è presto spiegato: qua sopra rifletto, cerco di ragionare prima con me stesso e poi con gli altri. E' una specie di zona franca, di giardino pubblico in orario di chiusura , quando tutti scappano perchè temono di restare chiusi dentro. Ecco, quando sono quassù vedo i miei pensieri scappare, proprio come fanno le persone quando il custode del parco sta per serrare il cancello.
Il mio compito è quello di inseguirli e di richiamarli all'ordine come una maestra delle elementari bacchetta i suoi bambini. 

Parto da un presupposto: chi mi sta leggendo lo fa perchè vuole, e questo in tempi di dittatura intellettuale è già un ottimo risultato. Chiamatela pure fiscalità, ma è proprio in ciò che è racchiusa la voglia di continuare a raccontarvi della mia vita, delle mie passioni e - perchè no - delle botte che quotidianamente mi riserva il mio essere "Francio".

Continuerò a raccontarvi di come Lei pensa che quello che provo sia frutto di uno "scherzo passeggero". E poi di me, che sorrido al solo pensiero che possa pensarlo (scusate il gioco di parole!). 
Mi lancerò ancora in stupide metafore, sinonimo di una mente, la mia, che niente ha a che vedere con l'ordinario (nel bene e nel male. Anzi, soprattutto nel male!).
Vi farò fare un viaggio nei miei ricordi più belli, ma anche in quelli più dolorosi. Perchè non sempre la vita è fatta di sorrisi e bel gioco. Spesso ti punisce in casa su rigore o addirittura in contropiede.
Parlerò delle persone e delle cose che mi regalano emozioni. 
Scriverò canzoni, poesie, filastrocche e barzellette, ma di certo non riuscirò a stare fermo.

E lo confesso: quel pomeriggio, dopo aver pubblicato il post, mi sono divertito tanto.
Come? No, no, no. Non siete gli unici ad esserci cascati. Guardate che ci ero cascato anche io.

Io per primo avevo pensato di spegnere la luce, chiudere finestre e tapparelle e far calare il buio su questo splendido posto al confine tra realtà e immaginazione.

Poi ho pensato: "perchè mai chiudere la finestra mentre qualcuno a cui tieni ti sta citofonando?"

E tutto è durato un solo attimo. 

Giusto il tempo di ricordarmi che sono Francio e che senza scrivere, proprio non ci so stare.


FRANCIO




domenica 30 settembre 2012

Il notiziario dell'ora di punta



Lo scorrere del tempo è inversamente proporzionale al via vai di pensieri: lento il primo, velocissimi i secondi. Sembra di mettere a confronto un Intercity con un Frecciarossa, giusto per rendere l'idea di quanto sia lampante la differenza. O pensare ad una coda al casello lunga immensi minuti. 

Solo per te, umile viaggiatore senza il Telepass

Basta immaginare la scena: ore 13, qualche camper e dieci automobili in fila davanti alla tua. A quel punto la mente vorrebbe una di quelle canzoni che solo Dio sa. I cd? Niente da fare, sono fuori uso: il lettore per un motivo sconosciuto ha smesso di svolgere il ruolo per cui è stato pagato profumatamente. C'è l'opzione radio, ma il segnale è scarso. L'unica stazione disponibile trasmette il notiziario dell'ora di punta.

Solo la radio. 

Quella radio insistente nella sua noiosa riproposizione di news che abbiamo già sentito cento volte. Quella che riserva anche la beffa relativa all'aggiunta di qualche curiosità tipica che probabilmente non cambierà la giornata a nessuno. Qualche esempio: il cane di Cavani, il vincitore della lotteria inglese, la donna più anziana degli Stati Uniti e così via...

Il problema è che tu vorresti la musica, ma la musica non arriva. 

Di momenti così le nostre vite sono stracolme, la mia personalmente lo è in modo particolare. Mi è capitato spesso di attendere la musica, assaporare la melodia e poi accontentarmi di uno stacchetto da quattro soldi o di uno spot pubblicitario, nel peggiore dei casi seguito dal notiziario classico e noioso di cui sopra.
Sempre inchiodato in fila al casello, con il torpedone di vetture che non accenna a placarsi. 

Con il Telepass sarebbe tutto molto semplice: un paio di bip, la sbarra si alza come se nulla fosse e tanti saluti al casellante. 

Ma purtroppo non è da tutti; nella vita con il Telepass ci nasci. E se non ci nasci, ti tocca accontentarti del cane di Cavani.

L'autostrada, intanto, resta lontana anni luce e quella sbarra non ne vuole sapere di alzarsi. Arrivasse almeno una canzone ad allietare l'attesa, tutto sarebbe più leggero. 

Come un pranzo coi parenti o un karaoke con gli amici. Cose semplici ma che la vita te la cambiano per davvero e rendono meno brusca una caduta, meno noioso il notiziario e meno pesante la coda per l'ingresso in autostrada, ma non scalfiscono il fastidio di non essere un predestinato.

C'est la vie...



Dimenticavo. Al casello ci vorrebbe questa qui, magari con una persona accanto che ci tenga compagnia anche per sei miseri minuti...



FRANCIO

giovedì 6 settembre 2012

Impressioni di Settembre



Oggi mi sono svegliato male.
Quando la mattina non mi sorride è sempre difficile riaggiustare i cocci strada facendo. La penso così spesso quando si fa strada l'autunno. Ufficialmente non è ancora iniziato, ma stento a credere, affacciandomi alla finestra, che l'estate tornerà imponente.
Erano più o meno le otto quando ho ricevuto il messaggio di un'amica. Mi ricordava degli autunni passati, dei caffè sotto la prima pioggia e dei corsi universitari che diventavano addirittura spassosi se vissuti in compagnia. Era il primo anno, l'unico che avremmo frequentato tra gli stessi banchi. Poi la vita, le circostanze e gli eventi hanno reso quei momenti unici e irripetibili.
E' stata una bella cosa, non lo nascondo. Leggere che c'è qualcuno che riesce a prendere del buono anche da giornate uggiose come questa è sempre un buon segnale. Aiuta a farsi coraggio e ripartire.

Cosa mi ricorda l'autunno? Essenzialmente il mio carattere, poi la play, i vari diari acquistati per la scuola ed i primi giorni con i compagni di classe, quelli che riuscivi a riabbracciare dopo settimane di astinenza ma che rivedevi con un pizzico di amarezza mista a malumore.  
Più in generale, mi ricorda l'attesa.
Ecco, l'autunno è il tempo di attesa per eccellenza, e le attese non sempre piacciono alla gente. La gente ama le certezze, detesta abituarsi a qualcosa di nuovo pur apprezzando sempre l'innovazione. Questo è il mio tempo di attesa, un tempo in cui posso ottenere tutto e niente. Un tempo che mi debilita fortemente.

Stanno per iniziare le giornate sui libri e le sere davanti alla tivù. Sta per cominciare il tempo delle coperte e sta per finire quello del beach volley, delle serate con gli amici e delle chiacchiere a maniche corte.

In tutto questo ci sono solo due cose positive. La prima è quel messaggio, la seconda è il mio sogno.
Il freddo e la pioggia non saranno mai più forti di loro. 

FRANCIO

domenica 29 luglio 2012

MODALITA' OFF-LINE



Luce fioca su di me. 
Alle cinque del mattino non è mai facile per un uomo capire a fondo il senso della vita. Lo si può solo assaporare, lasciando che siano le suggestioni a parlare. E così un cd di Springsteen unito alla lingua d'asfalto che ti porta fino a casa riesce a fare miracoli. Nella testa mille pensieri e mille domande.

No, non siamo alle solite. Stavolta conosco la risposta per ognuna di esse.

In fondo, anche l'illusionista meno abile cerca di ingannare la platea facendole credere che dietro le sue azioni non si celi alcun trucco. In realtà, invece, lo sappiamo tutti che il trucco c'è ma non si vede.
Ecco, come un illusionista mi caracollo nell'impresa di nascondere il trucco. Un trucco che comunque esiste, anche se nessuno può notarlo.

Mi viene in mente anche la barra della chat di Facebook. Basta un clic per decidere se essere dentro o fuori dal mondo. Reperibile o non reperibile. Esistere o non esistere. Alla faccia di Shakspeare, precursore dell'ideologia. 

In due settimane ho provato ogni cosa. Dallo sperpero di denaro per cose inutili a lavorare di notte. Dalla "bella vita" a quella da cani. Dal leggere thriller a studiarne la scrittura. Quest'ultima a modo mio, ovvio. Non mi adeguo a schemi predefiniti, non è nella mia indole. 

In questi quindici giorni ho però provato anche a studiare trecentocinquanta pagine di arte in tre giorni e ad andare incontro a ramificazioni della stessa illusione. 
Ho dimenticato la lezione precedente. Che il trucco c'è sempre, anche se non si vede. Errore imperdonabile se non madornale in una vita che non concede seconde chances a nessuno. 

Con fermezza e altrettanta onestà credo che sia giunta l'ora di prendere il mouse ed eliminare quel pallino verde. Fare per la prima volta nella vita il passo più lungo della gamba ed uscire dal via vai di ipocrisia che si cela dietro ognuno di noi.

Perchè non c'è mai giustizia. perchè il buono in questo mondo non vince mai. Perchè semplicemente per alcuni il buono non esiste.
Per questi e pochi altri motivi Francio se ne va in "Modalità Off line".

Alla fine devo ammettere che ci siete riusciti, là fuori, a rinchiudermi qui dentro.  

FRANCIO

martedì 3 luglio 2012

Auguris...SIMO


Quando ero bambino mi chiedevo come si facesse ad essere buoni. Volevo diventarlo anche io, come lo erano diventate la maggior parte delle persone che mi circondavano. Alcune nel tragitto le ho perse, altre invece sono ancora qui a mostrarmi la strada.

Col passare degli anni qualche certezza è venuta meno. I dubbi hanno preso il sopravvento insieme all'ipotesi che essere buoni non serve a niente. Ogni volta che penso a me, vedo qualcosa che non va. Cerco di essere migliore, ma non potrei tentare nemmeno di farlo se non avessi al mio fianco persone che mi mostrano ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Una di queste sei tu, Simo. Niente lagne, niente foto di quando eravamo piccoli, niente di commovente. Semplicemente un GRAZIE. Di tutto.

Come potrei descriverti per chi non ti conosce? 
Ti vedo un po' come il chitarrista che accompagna il cantante solista. Il chitarrista fa l'assolo, produce musica, emozione, adrenalina, Ma passa spesso inosservato. Gran parte del merito va al cantante, anche se è il chitarrista ad essersi fatto il sedere più di tutti. 

Oppure potrei paragonarti  al gregario nel ciclismo, che accompagna il velocista della squadra a fare la volata. Gli fa spazio, gli apre la strada. Gli rende facile il compito di tagliare il traguardo. 

Tu non passi inosservata, e aiuti chiunque a raggiungere l'obiettivo. 
Stasera, quando mi dicevi di scrivere qualcosa sui fuochi, avevo già in mente qualcosa per te. 
Dopo tutto loro vanno via, invece tu resti. Ed è questa l'unica cosa che conta.

Auguri di cuore amica mia. Ti voglio bene.

FRANCIO

mercoledì 20 giugno 2012

Il coraggio di una rinuncia



Rinunciare è un verbo che proprio non mi va giù. Equivale un po' a mollare, e mollare è un po' come morire. Quando molli muoiono le tue idee, i tuoi ideali. Muori tu.
Non una morte fisica, ma morale. Ad esser sincero non posso dire quale delle due sia peggio, ma non nego di essere morto e risorto moralmente almeno cinque volte negli ultimi cinque mesi. E non è una bella sensazione.
La rinuncia è qualcosa che va aldilà della non accettazione. La rinuncia è un rifiuto categorico di qualcosa che si può avere e che in alcuni casi già si ha in tasca. Ci si disfa di quella cosa per un motivo, giusto o sbagliato che sia. Sono quelli i momenti in cui ti trovi davanti ad un bivio, con l'orologio in mano, ad osservare lo scorrere veloce delle lancette. Una scelta va presa, e non puoi tirarti indietro. Ci siete tu e il tuo pupazzo di peluche. Sì, proprio lui, quello che segna il confine tra il tuo essere bambino ed il diventare uomo. Quello che, se vuole, può prendere vita e darti una lezione di stile mostrandoti cosa sia la tenerezza.
Già, la tenerezza.
Siamo sicuri che serva ancora tenerezza a questo mondo? Che fine fanno i teneri? Non sono forse nello stesso girone dei galantuomini? Aspetta, com'è che si chiamava? Giusto, il girone dei delusi. Un girone di ferro, altro che quello dell'Italia ad Euro 2012.
Bisogna essere fermi.
Se quel pupazzo di peluche vi guarda con aria dolce, non statelo a sentire e azionate il cervello. E' così che si affrontano le situazioni più dure, le più ambigue.
Io il cervello non lo faccio funzionare mai: ho sempre preferito il cuore. Ma è ora che cuore e cervello inizino a vivere in simbiosi anche dentro me, come in ogni essere umano. Il peluche dei sogni spezzati mi fa un baffo. Ora come ora resta al bivio.
E non importa nemmeno la mia direzione. Non è quella che segna i tratti del viaggio. Ad esser sincero , per dirla proprio tutta, non mi importa più neanche la compagnia. Gli amici vanno e vengono, e i punti fermi di questa tormentata esistenza sono sempre meno. Ogni giorno che passa.
Al bivio ci lascio anche un anno di sudore, di carte stampate. Miliardi di caratteri, milioni di parole, centinaia di fogli. Al bivio ci lascio un pizzico di passione, che è sì importante, ma non quanto il rispetto.
E così mollo qualcosa anche io, insieme al peluche.
Mi addentro in lande sconosciute verso la vita da uomo.

FRANCIO

sabato 26 maggio 2012

Pierre e Monique, due cuori diversi



Monique non è una qualunque. Un metro e settanta di bellezza comune intervallata da occhi pensati apposta per lei. Dal suo volto non traspare alcuna beltà particolare e la sua pelle non emana il profumo delle fate.
Monique è strana. Cambia spesso umore.
E' forse anche questo il motivo per cui Pierre la adora. Già, l'amore supera ogni cosa, dicono. Sono sbalzi strani quelli di Monique. A volte non si cura in volto; non un pò di trucco, un lucidalabbra, un rossetto. Nemmeno un tocco di rimmel. Sono quei giorni in cui il cielo è terso e le nuvole minacciano di lacrimare.
E chissà perchè, ma c'è da dire che Monique sembri avere proprio il fiuto per la pioggia. Un tocco di cipria e spunta l'arcobaleno. Come nei migliori lungometraggi. Come nei migliori libri.
Quando si veste a festa, Monique non diviene una regina per nessuno, eccetto che per Pierre.
A dire il vero Pierre farebbe follie pur di morire insieme a lei. Invecchiare con lei e poi emettere l'ultimo sospiro mano nella mano è da sempre il suo macabro sogno.
 Lui, avvocato di belle speranze, giovane come Di Caprio in Titanic, non aspetta altro che portarla all'altare.
Ma nella Francia di oggi anche sposarsi è divenuto compito arduo. E forse non è nemmeno la Francia di oggi il problema, ad esser sinceri.
Pierre fa un lavoro difficile, impegnativo, ma ben remunerato. I soldi non mancherebbero per tirar su famiglia. Ma il denaro non è tutto.
Monique ha un altro.
Uno che non la ama, che la soddisfa solo sessualmente. Pierre non ne sa niente, sospetta qualcosa, ma forse non gli importa nemmeno granchè.
Ciò che prova per Monique lo sente nel caffè alla mattina e nella camomilla che anticipa le notti di tempesta. Lo annusa nella primavera che arriva, in un disco anni '60 che amava ascoltare suo nonno.
Ha ancora i vinili, Pierre, e quando può sfida il passare del tempo dando una spinta decisa al giradischi.
E' felice, sempre felice. Inspiegabilmente felice.
Amare per lui è l'unica cosa che conta e veder ricambiato il sentimento è solo relativo.
Monique arriva al punto di stancarsi di troppo buonismo. Tutto ciò la fa sentire a disagio e così vuota il sacco e molla tutto. Molla Pierre, molla la monotonia e fugge via con l'amante. Senza dare spiegazioni, preferendo l'ebbrezza della fuga al sentimento.
Sembrano giorni duri, ma il povero Pierre canticchia per le strade di Montmartre "La vie en rose" di Edith Piaf. Niente sembra poterlo far fuori. Neanche un amore non corrisposto.

FRANCIO
Nella foto, lo splendido panorama del quartiere parigino di Montmartre

mercoledì 16 maggio 2012

Sereno, variabile.




Mi immagino disteso su una collina a guardare il mondo.

Sono solo, nessuno può né deve stare con me. Ho voglia di riflettere per due minuti, prima di tornare nel caos che governa la mia vita.

La stabilità, l’umore, l’amore, sono variabili che devono starne fuori. Quello di cui voglio ragionare non lo si tocca con mano e non lo si prova. E’ qualcosa di astratto. 

Più dell'astrazione stessa.

In quei due minuti vorrei parlare a me stesso e alla mia vita per capire quanto sia scontata. Vorrei chiederle se è più scontata lei o un giubbino venduto da un negoziante di periferia. In pieno luglio.

Persone, cose, città che ho visto e conosciuto nel corso degli anni, non sembrano più le stesse.  Ai miei occhi paiono svuotate di ogni contenuto.

Meditare fa bene - dicono – ma meditare troppo può far peggio. E’ un attimo. Cento, forse centoventi secondi.

E’ quello il lasso ti tempo in cui bisogna darsi delle risposte. Andare oltre potrebbe voler dire entrare in vortici che neanche l'immaginario concepisce.

E'  questo che bisogna evitare. Bisogna suonare, cantare. Suonarsele e Cantarsele. E perché no? Qualche volta, suonarle e cantarle a qualcuno, che non fa mai male.

In questi tre minuti che state dedicando alla lettura, vi invito a fermare i vostri pensieri e raggiungere la vostra collina.

Pensateci. Niente di tutto quello che vi circonda è scontato. Sono scelte, le vostre, che nel bene e nel male stanno dando un senso alla vita che vivete.

Non è scontata la connessione ad internet che state utilizzando per visualizzare queste righe, non è scontato avere gente al proprio fianco, e quindi non è scontata nemmeno la solitudine, che a volte serve per vivere meglio.

Ma io non amo la solitudine. Non particolarmente.

Amo cantare e stare in compagnia. Amo scrivere.

Qualche minuto prima che buttassi giù tutto ciò, mi è capitato di imbattermi in un blog di un’amica. No, non simile al mio, perché lei si esprime in modo sublime.

 Vi lascio con queste sue poche parole che faccio immediatamente mie.

“E non so se è meglio vivere che scrivere. So che scrivo perché forse non so vivere”

Niente di meglio per iniziare un bel ragionamento. Di centoventi secondi, non uno in più.

FRANCIO

domenica 29 aprile 2012

Non c'è "verso".

L'ultimo post era datato 10 marzo , e "per fortuna" - aggiungo io. Già, perchè come ho avuto modo di raccontare spesso, quando metto mano alla tastiera per pubblicare qualcosa, nella maggior parte dei casi non sono del migliore degli umori.

Oggi non voglio esagerare con le righe, ma provo a scrivere qualche verso che valga anche da sfogo. Sorbitevelo, se non avete di meglio da fare.



Pensieri d'Aprile 

Cammino lungo un viale di silenzio,
la gente mi vede, mi scansa, e se ne va.
Guido su autostrade costeggiate dal ricordo,
ma è il ricordo a far finta di non conoscere me.
Cerco sui quaderni ciò che non è scritto,
vago nel buio in cerca di te.
Ma tu non ci sei, almeno per me.
Il ticchettio suona le due, è tempo di dormire,
o forse di svegliarsi dal sonno profondo.
Il tempo dirà se sono giusto, o mi confondo.
Intanto mi perdo in un mare di guai in tempesta,
Non c'è verso nel mio cuore
che solo nella notte brillante trova la pace.

FRANCIO

sabato 10 marzo 2012

Vite parallele


Ci sono vite che si intrecciano solo nei sogni, ma che in realtà non si incontreranno mai. Storie che parlano da sole, ma che hanno un finale già scritto. Prendete le favole Disney, con cui la stragrande maggioranza degli attuali adolescenti è cresciuta. Avete mai visto una Cenerentola, una Biancaneve in giro? E l'insegnamento tratto dalla Bella e la Bestia, quante volte lo avete visto applicare nella vita di tutti i giorni? Io, onestamente, poche.
Non parlo di amori non corrisposti o di simpatiche sfumature riguardo storie del tipo "avrebbe potuto essere ma non è stato". Parlo, semplicemente, di qualcosa di corrisposto ma irrealizzabile. Per un motivo o per un altro.

Qualche settimana fa - forse troppe, a dire il vero - scrissi di quei due fidanzatini che sfidavano il freddo alla luce dei riflettori del Terminal di Campobasso. Neve, gelo, pioggia, non importava: loro erano lì. Oggi mi ritrovo a scrivere di qualcosa che forse un senso non ce l'ha, e non ce l'avrà mai.
In queste settimane di sorprendente fertilità per il mio genio, mi è capitato di osservare tanto e di riscoprire aspetti che prima non sembravano esistere.

Ho riscoperto l'importanza del sorriso di un amico, di come mi sento quando è felice.
 Ho riscoperto che non bisogna lasciare nulla al caso, che se vuoi qualcosa devi sudare centimetro dopo centimetro per conquistarla. Ho capito che i sogni non costano, ma costa tanto prendersi la responsabilità di renderli realtà. Due giorni fa ho deciso di prenderne in custodia un altro, forse senza chiedere il permesso al diretto interessato. E' stato un flash, roba di un nano secondo e l'ho sentito vicino. Spero mi appoggi con tutte le sue forze, perchè se è vero che è tutto gratis, lo è altrettanto che con i sogni non si scherza mai: nè con i propri, nè con quelli altrui. E questo, qualcuno farebbe bene a capirlo...

Concludo dicendo che se a molti non è chiaro nulla di quello che ho scritto, vorrà dire che, matematicamente, ad altri sarà limpidissimo. Quel che importa è che sappiate che non sto delirando. Si parla di vite parallele e soprattutto di valori. Quelli no, non si vendono al mercato...


A Brigida e Francesca. Spero la finiate di ricordarmi che questo blog è scaduto....Avete visto? L'ho aggiornato quando meno ve lo aspettavate. 
A voi  e a chi mi legge con pazienza, va un abbraccio caloroso.

FRANCIO


sabato 25 febbraio 2012

Quando la Reggina fu "regina"


Nel duemilasette la Reggina è entrata nella storia. Per i meno appassionati, si tratta di una squadra di calcio. Dopo lo scandalo(?) che ha sconvolto il mondo del pallone nell'estate 2006, (comunemente definito Calciopoli), la squadra di Reggio Calabria si ritrovò ai nastri di partenza della serie A 2006/2007 con ben 15 punti di penalizzazione e l'obiettivo della salvezza lontano almeno un'era geologica. 
Quella squadra era guidata da Walter Mazzarri e a fine campionato riuscì ad evitare l'infamia della retrocessione. 
Un miracolo sportivo. 
La aiutarono qualche sconto sulla penalizzazione (le 15 lunghezze divennero 11 a dicembre 2006) e soprattutto l'eclettismo di una rosa che poté vantare la miglior coppia di marcatori dell'intero campionato: Quei Rolando Bianchi e Nicola Amoruso, in rappresentanza rispettivamente del nuovo che avanza e del vecchio che di andare in pensione proprio non ne vuole sapere.
Gli amaranto nel 2007 si piazzarono quattordicesimi, ma senza la penalizzazione avrebbero disputato addirittura la coppa Uefa: quell'anno, insomma, la Reggina fu "regina". 
Un esempio lampante, nel calcio come nella vita, che le difficoltà non devono affossarti, ma renderti più forte. 
Nel mio piccolo, anche ieri ho vinto il mio scontro diretto. Falcidiato da infortuni, errori arbitrali, complotti di palazzo e penalizzazioni ingiuste, sono ancora in corsa per qualcosa di importante. 
Ma la salvezza non mi basta più. 
Adesso, voglio vincere.

Un abbraccio a tutti, e presto tornerò a scrivere qualcosa di più costruttivo. Promesso.

FRANCIO

venerdì 3 febbraio 2012

Sogno le Elementari, mi risveglio a Castelpagano


Vi è mai capitato di sognare, e nel sogno rendervi conto che ciò che state vedendo non è reale? Insomma, che è solo un sogno, e state al gioco come se fosse vero, senza credere a quello a cui assistete?
Lo so, il ragionamento è contorto, ma vi chiedo un po' di comprensione, altrimenti non ne usciamo fuori...
Il paese che vedete nella foto è Castelpagano, poco più di millecinquecento abitanti, seicento metri sopra il livello del mare e un freddo che di questi tempi fa invidia alla Siberia. Insomma, la foto sarà stata scattata in estate, certamente non adesso che il paese è sommerso dalla neve.
Castelpagano è uno dei luoghi della mia infanzia, un posto a cui mi lega un rapporto di odio-amore fin da quando ero bambino. In estate i miei nonni materni partivano da Benevento e andavano a vivere lì per tre mesi, alla ricerca di un po' di fresco e di compagnia dei classici "parenti/amici del posto". Li' abbiamo ancora una casa, che odiavo, e che adesso ho finito per amare a causa dei ricordi che mi suscita.
La cosa più bella delle mie esperienze a Castelpagano era l'attimo del risveglio. Il gallo che canta, i primi raggi di sole che filtrano dalle vecchie finestre, la brezza autunnale in piena estate. A Benevento tutto questo non lo avevo. Poi c'era nonna che preparava la colazione per noi nipoti, e al pomeriggio la merenda. Cose che non dimenticherò mai, ma non è questo il punto del mio discorso.
L'altra sera -  sarà capitato una settimana fa - andai a dormire con mille pensieri per la testa, tutti talmente confusi che faticavo a prendere sonno. 
Vedo tanti bambini col grembiule blu, e quasi non mi rendo conto di cosa stia accadendo. Ad un tratto ascolto una voce familiare, è quella della mia maestra. Quasi non ci credo, sono di nuovo tra i banchi di scuola?! E lei è ancora così giovane? Ma se l'ho incontrata un mesetto fa... o ha preso l'elisir di giovinezza, oppure mi sto sbagliando. Accanto a lei, quei bambini, iniziano a dirmi qualcosa. Non solo con la voce, ma con gli occhi. L'immagine si fa più nitida e...sì, è proprio lei: la mia classe delle elementari. I compagni con cui ho condiviso le prime esperienze della vita. Mi accorgo che alcuni non sono cambiati per niente, e altri invece troppo. La maestra spiega Leopardi e ogni tanto ci mette qualche latinismo. Solo ora, con questo sogno, mi rendo conto di quanto fosse avanti quella donna. 
Accanto a me Simona e Mabel (o Mabel e Simona, come preferite, ma vanno sempre in coppia) parlano di cose che ho già sentito. E' come se mi fossi catapultato in un tempo già vissuto, pure io col grembiule blu addosso. Cose da pazzi!
Poi mi viene in mente che mia cugina, più piccola di me, quella maestra proprio non può sopportarla. Quando torno a casa la cerco per farmi dare un pizzicotto e capire cosa stia accadendo. Ma ora è lei, clamorosamente, ad essere più grande di me: mi guarda e mi dice: Fra' ma che stai dicendo? Vuoi finirla di prendermi in giro? Goditi l'estate! Mi sveglio, e sono a Castelpagano. C'è il gallo, c'è nonna, c'è nonno, c'è perfino il sole a baciarmi il viso. Le finestre non sono cambiate, la casa è la stessa, ma non può essere vero. Mi alzo, la colazione è pronta e mangio in compagnia di tutti. Non riesco ad accorgermi se nel frattempo sono diventato grande perchè passa un attimo e mi risveglio di nuovo, stavolta sul serio. 
Che bello rivedervi, incastonati nel mio passato e vigili sul mio presente. Nemmeno la immaginate la gioia che mi avete regalato. 
C'è chi dice che i sogni sono gratis, ma devo ritenermi fortunato oltre modo. In  tempo di crisi ho usufruito del 2 x 1, ovvero "due sogni in uno". In fondo, in un periodo difficile, basta poco, per tirarti su.
Basta il calore di chi ti ha sempre voluto bene, e per sempre te ne vorrà.

Un pizzicotto... ehm....un baciotto a tutti.

                                                                                                                                              FRANCIO

mercoledì 18 gennaio 2012

Amore al gate 21 - l'infinito in cinque minuti


L'atmosfera del terminal, al mattino, mi mette di buon umore. Non chiedetemi da quanto tempo me ne sia accorto, ma di certo non più tardi di tre anni fa. La prima volta che ho iniziato a frequentare questo posto, sede legale del multiculturalismo studentesco, è stato un giorno di autunno del 2009.
A Benevento non ne avevo mai vuto l'occasione, non avvertendo mai il bisogno di utlilizzarlo (avevo la scuola vicino casa...) ed è per questo che vi parlo ancora di Molise, e quindi di Campobasso.
Con la città di "San Giorgio" non è che abbia un rapporto idilliaco, diciamo che ci sopportiamo a stento - e questo avrete avuto modo di capirlo leggendo il post precedente -  ma c'è qualche suo aspetto che paradossalmente finisce per affascinarmi, lasciando incredulo persino me stesso.
Dicevo del terminal, ad esempio, che di prima mattina è un via-vai continuo. Ragazzi di tutte le età e da ogni parte del Molise (ma anche da fuori, come nel mio caso) raggiungono l'ambita meta per andare a scuola, seguire i corsi universitari o bidonare entrambi. In questo contesto di confusione, alle orechie di ognuno arrivano le varie inflessioni dialettali che non si può proprio fare a meno di ascoltare. E' una bella sensazione, e quello che comprendo dai discorsi scambiati tra i ragazzi delle scuole superiori mi fa capire che dopo tutto non è che sia cambiato tantissimo rispetto ai miei tempi. Si vedano le ansie causate da imminenti compiti in classe e interrogazioni.
C'è poi anche un altro aspetto, quello legato ai rapporti sociali. Per molti il terminal è il luogo di cinque minuti, quello di passaggio. Un posto in cui resti poco, saluti qualche amico, ci scambi quattro chiacchiere, e poi vai via verso il tuo "dovere". Battute su cosa ha fatto la tua squadra il giorno prima, sul campionato, sulla tua famiglia, sul tempo libero, sui compiti e ciò che ne consegue. Tutto, per alcuni, inizia e finisce lì, in quei cinque minuti.
C'è poi chi quei tremila secondi li utilizza in modo diverso, come nel caso dei due fidanzatini appostati al palo del gate 21. Non so dargli un nome, non conosco le loro identità, ma so che ogni mattina si salutano come se fossero all'ultimo incontro. Con il gelo di questi tempi, camminare farebbe più che bene per stare un pò più caldi, ma loro non ne vgliono sentir parlare. Restano abbracciati, persi nell'infinito dei loro pensieri rivolti chissà dove.
Quando li vedo mi sento meglio, quasi più carico per affrontare la giornata universitaria - e  credetemi, poco dopo le sette del mattino è difficile trovarne di carica.
Non so niente di loro e nemmeno voglio saperne. Avranno meno di diciotto anni, forse sedici, e si godono il momento come pochi. Saranno di paesi diversi? Presumo. Andranno a scuola insieme? Non credo, altrimenti quell'attimo non sarebbe così profondo. 
Cento metri più avanti di tutto questo, c'è la biforcazione che divide in due la città. Oltre il confine del terminal inizia lo smistamento di formichine che, zaino in spalla, chi col sorriso e chi con la vista annebbiata, percorre la strada che li condurrà in aula per raggiungere la loro classe.
La terra di mezzo è ormai alle spalle e la scuola più vicina, ma circa sei ore dopo tutto si ripeterà per il processo inverso, che non racchiude però la stessa magia. Ad ora di pranzo, sarà la pancia vuota, sarà la stanchezza o qualcos'altro, quei due del gate 21, non li vedo più. Il palo è miseramente abbandonato a se' stesso, così come l'autista che attende di riempire il suo pullman parcheggiato lì davanti. Fa meno freddo e splende un pò di sole, questo sì. Ma loro, nel frattempo, che fine avranno fatto?

FRANCIO

mercoledì 11 gennaio 2012

Consegno, in bianco


Le vacanze di Natale sono già un lontano ricordo (a proposito, auguri a tutti di un buon 2012), ed è ora di tornare alla vita normale. Quella fatta di giornale, calcio, ma soprattutto università. Questi venti giorni di apnea sono serviti a ricaricare le pile e scaricare la voglia di dolciumi, ma è importante che siano trascorsi. Una mia prof delle superiori lo diceva sempre: "se le vacanze non finissero mai, non si chiamerebbero più vacanze". Ecco, quindi becchiamoci di nuovo le notti insonni a scrivere, e le fredde sveglie mattutine per raggiungere l'ambita Campobasso.
E' martedì 10 gennaio il giorno fissato per la ripresa del corso di Teorie e tecniche dei nuovi media, e la casualità vuole che Marika viaggi con me avendo perso il pullman del giorno prima per raggiungere Chieti. Per farlo deve effettuare scalo a Campobasso, che presumo sia innevata, da quanto mi avevano riferito più persone il giorno prima.
Sono le 6.35 del mattino, e a Benevento fa un freddo cane. Arrivo alla stazione, faccio il biglietto, saluto Marika, prendo la sua valigia e la carico nel bestione. Tra me e me penso "speriamo di arrivarci, perchè se qui fa freddo, lì avrà fatto una bufera di neve". Per fortuna mi sbaglio.
Il viaggio è un mix di sonno e musica, oltre che di chiacchiere. Non è che capiti tutti i giorni di viaggiare con la tua ragazza per raggiungere l'università (a meno che lei non frequenti i tuoi stessi corsi...). Sembrava volessimo fuggire lontano dal recente passato e non che ci stessimo dirigendo verso i corsi. Ciao dolci, arrivederci pandoro, buone cose panettone. Un oceano di saluti.
Verso Sepino il paesaggio inizia a tingersi di bianco. A Marika la neve è sempre piaciuta e sembra felice di vederla, tanto che sorride. Sia chiaro, non che la neve a me non piaccia, solo che ho ancora davanti agli occhi le scene degli ultimi due anni, quando di questi tempi ero messo costantemente in difficoltà dal ghiaccio molisano. Quando arrivo ho da fare quasi due chilometri a piedi, e so che il tempo che impiegherò per percorrere quel tragitto sarà nettamente maggiore rispetto alle previsioni.
Quando arriviamo va tutto secondo i miei calcoli. Le strade sono ghiacciate, le salva solo un pò di neve che consente di attutire eventuali scivoloni. Saluto Marika che parte per Chieti e vado a raggiungere Rossana che mi aspetta qualche centinaio di metri più avanti rispetto al Terminal.
Anche lei come me è preoccupata, oltre che di cadere,  di arrivare con notevole ritardo a lezione. Per chi non lo sapesse, a dividerci dall'aula che dobbiamo raggiungere ci sono infiniti saliscendi di una certa pericolosità. Autobus? No, fuori discussione all'andata. Non c'è proprio il tempo materiale. Insomma, dobbiamo avventurarci per lande infinite, non c'è altra soluzione.  
Impieghiamo circa quarantacinque minuti per raggiungere la meta, e quando arriviamo il professore ammette che i presenti avevano compiuto una vera impresa arrivando a sedersi tra i banchi. La cosa ci rinfranca, ma ci fa capire ancora una volta quanto sia dura la vita del pendolare.
L'esame è scritto ed inizialmente era previsto per il 18, ma è anticipato al 17 proprio all'ultimo momento (a meno di ulteriori e clamorose sorprese).
Per quanto mi riguarda, a sei giorni dall'ora X sono indietro di quasi 250 pagine, quindi mi servirebbe Jenkins in persona per inculcarmi nelle vene le nozioni necessarie.  Mal che vada, dovesse nevicare, consegnerò... in bianco

La foto che fa da corredo a questo intervento l'ho scattata a metà strada. Sì, lo ammetto, un pò mi sono divertito.

FRANCIO