mercoledì 27 marzo 2013

Un incontro fuori dal tempo.




Lei camminava a testa alta, con lo sguardo dolce e fiero, proseguendo per la sua strada su uno dei tanti marciapiedi storici di Benevento. Io avevo appena parcheggiato la mia automobile in divieto di sosta, fiero a mia volta di aver trovato un parcheggio che fosse ad un tiro di schioppo dalla redazione. Tanto lì i vigili non sono mai passati a controllare.

I miei occhi l'avevano inquadrata già nel momento in cui le mani erano intente a tirare su il freno a mano. I suoi occhi, invece, mi hanno scrutato pochi secondi dopo. Il tempo di uscire dall'auto e sentire quel brivido che tre, al massimo quattro persone hanno saputo regalarmi finora. Una di queste è Carmen Amelio.

Non mi sono mai chiesto quanti anni avesse quando vestivo il grembiule azzurro, quindi non me lo chiedo neanche adesso. Quelle come lei sono donne senza età. Vivono sospese al centro di un vorticoso valzer di piroette che solo il tempo sa regalare. Bene, lei con il tempo ci scherza, ed è una delle poche a riuscirci. In fondo si sa, il tempo è galantuomo e gli uomini galanti raramente abbozzano una risata.

Mentre penso al "chissà se si ricorda di me", le sue immense labbra si muovono:

 <<Francesco!>>.

Un nome risuona in via Giuseppe Pasquali, ed è il mio. "Maestra, professoressa, signora? E ora come la chiamo?", penso tra me e me alquanto imbarazzato. Intanto faccio partire un sorriso costruito.

"Non ci posso credere, si ricorda di me..." - continuo a pensare. Alla fine opto per un generico <<Buonasera>>, che non fa mai male.
Non mi andava di classificarla con titoli scolastici o professionali. Mi sarebbe venuto più naturale chiamarla mamma, lo confesso. Nessuna persona è mai più riuscita a farmi imparare una poesia a memoria, nessuna che sia mai stata così determinante nello stimolare la mia voglia di apprendere. Nessuna donna è stata mai così capace di incutermi timore e simpatia allo stesso tempo.

Insomma, era lì, davanti a me: Carmen Amelio. La "maestra Carmen", per gli amici. Insegnava italiano alle mie amate scuole elementari, quando cercava di indirizzarci prima a vivere e poi a capire la grammatica. In fin dei conti le due cose sono abbastanza simili, con un po' di fantasia. E lei riusciva benissimo a coniugarle come verbi.

Oggi, in via Pasquali, aveva la solita luce negli occhi e il solito profumo sulla pelle. Non voleva mollarmi più ma quel che diceva era interessante e coinvolgente. Capelli rossi, labbra carnose, viso giovane ed eleganza unica al mondo. Al collo un foulard attorcigliato in modo particolare. Solo una persona che conosco lo indossa così, ma questo è un dettaglio che credo interessi a pochi.

<<Allora Francesco, della tua vita cosa ne stai facendo?>>

Beh, cosa ne sto facendo. Forse la sto buttando via in chiacchiere. 
Questo è ciò che avrei risposto. E invece...

<<Eh, cosa dire. La redazione di Ottopagine è lì dietro, oltre quei palazzi, vicino la chiesa. Collaboro per l'edizione sportiva online. Nel frattempo manca poco alla laurea in Scienze della Comunicazione, ma non so davvero dove sarò tra qualche anno.>> 

Bugia. Mancano quattro esami, e considerando la mia testa non sono pochi. Ma dovevo sbrigarmela in qualche modo.

<<Come dici? Sei un giornalista sportivo e la laurea è vicina? Chissà quanto sarà contenta tua madre. Che donna eccezionale, salutamela affettuosamente..>>

Il discorso è iniziato così ma è poi andato avanti a lungo, credo almeno venti minuti. Abbiamo affrontato moltissimi temi e non nascondo che gli occhi erano lucidi come nelle occasioni importanti.
Eravamo io, lei, il suo foulard e la passione per la lingua italiana che non ha mai smesso di trasmettermi. Quando ho avuto dubbi su me stesso, sulle mie ambizioni, ho pensato spesso alle sue lezioni e mi sono tirato su. Penso a tutti quei bambini (o meglio, ragazzi. Oggi si cresce troppo in fretta...) che hanno l'onore di averla davanti ancora. E a cosa si sia perso chi non l'ha mai conosciuta.

<<Con il cuore di una mamma ti auguro tutto il bene del mondo. E mi raccomando. Non dimenticarti mai delle cose semplici: sono loro a fare la differenza>>.

Poi è sparita, come in un film, indirizzando il suo vagare verso Corso Garibaldi.
Io intanto ero lì impietrito ad osservare un altro corso, quello degli eventi.
"Anche questa è storia", mi sono detto. Ho incontrato la mia musa ispiratrice nel momento di massimo bisogno. E le cose, ne sono certo, non accadono mai per caso.

FRANCIO.


 - Nota a margine -
Carmen e Carmela sono due nomi che si somigliano molto. Ho una cugina che si chiama allo stesso modo della maestra ed una zia che invece ha il nome "italiano" e a cui dedico questo intervento. Poi c'è un'altra Carmela, precisamente Carmela Tripaldi.
Come dite? Volete sapere chi è? In realtà non lo so neanche io, e non so nemmeno se esiste. Fatto sta che mio cugino Riccardo, il romano, dice che è la mia fidanzata...

Tranquilli voi e tranquillo Riccardo, sono ancora single. Questo affare non lo fa nessuno.





lunedì 25 marzo 2013

Lo scienziato e il seminarista - coffee break





Strana bevanda, il caffè. E'capace di aprirti un mondo.
Ho confidato a qualche amico che non programmo mai gli interventi da scrivere su "Camera con Vista". Sono frutto dell'estemporaneità del momento, dell'unicità di ogni mattina, pomeriggio, sera o notte all'apparenza monotona. Credo infatti che sia solo apparenza. Mi piace pensare che ogni istante vissuto abbia qualcosa di diverso rispetto a quello già affrontato e a quello che è alle porte. Immagino che a molti sia capitato di pensare: "che vitaccia, faccio sempre la stessa cosa...". Beh, in realtà la stessa cosa non la facciamo mai. Magari ripetiamo un'azione, ma la faremo sempre in modo diverso, con umore diverso, sorriso diverso e pensiero diverso. Basta ragionarci un po'.

E lo avrete capito, ormai. Ragionare è una delle cose che amo di più. Non sulla matematica, sui numeri, sulla scienza, è chiaro. Mi piace ragionare sulle imperfezioni perché penso che niente sia perfetto e niente potrà mai esserlo. Non mi piacciono i problemi con una sola soluzione e non mi piacciono le strade con una sola via d'uscita. Perfino da piccolo, alle elementari, quando in Geografia mi interrogavano sui fiumi, sulle foci a delta o a estuario, quando nominavamo le seconde storcevo il naso. Un fiume che termina nel mare seguendo un unico percorso mi ricordava tanto la mancanza di variabilità, di estro e fantasia. Più sbocchi, invece, più fantasia, più apertura. E' questo ciò che ho sempre predicato ma non sempre razzolato. Perché non nascondo che a volte mi riesce difficile essere coerente con me stesso. E' un limite, ma spero di farne presto una forza.

A qualche amico - lo stesso a cui ho confidato che non programmo gli interventi che vedete qui sopra - ho bisbigliato anche che per la prima volta da quando ho aperto il blog mi era venuto in mente di progettarne uno ad hoc. E come al solito, quando progetto qualcosa, sono un pochettino goffo. Ecco perché ho scritto e cancellato per ben tre volte un intervento, negli ultimi giorni. Ogni volta che ci provavo, scrivevo le stesse cose ma in modo diverso, collegandomi al discorso che facevo prima. In più - grave problema - ogni volta mi bloccavo. Il mio obiettivo, comunque, era parlarvi della diversità che magicamente diventa somiglianza.

In questi giorni, chi ha avuto modo di accendere la tivù avrà notato che si è parlato tanto di razzismo, di intolleranza, di discriminazione legata al colore della pelle. Siamo nel 2013 e queste cose ancora esistono. Assurdo. Io invece voglio affrontare un altro tipo di divergenza, quella legata alle ambizioni.
Ho due amici a cui sono molto legato che potrebbero essere agli antipodi ma che finiscono per somigliarsi come gemelli. Uno fa il seminarista e sogna il sacerdozio, l'altra studia una di quelle che definisco "scienze esatte" e ha l'ambizione di fare la ricercatrice.

Due bei sogni, innanzitutto. Perché è giusto chiarire che non è da tutti puntare così in alto e loro non si accontentano. Non sono fans del "Chi si accontenta gode", ma della rivisitazione made in Ligabue, che a quella frase scontata e banale ha aggiunto un bel "così così..." . Quindi ottima scelta, Gildo ed Eleonora. Avevate l'opportunità di accontentarvi, non lo avete fatto e sento che non lo farete mai.

Detto questo e chiusa la piccola parentesi sul "così così", la cosa che mi ha stupito maggiormente è la somiglianza nel modo di fare. La diatriba dialettica (e non solo) è lunga secoli, millenni e si perde nei volumi impolverati su cui è scritta la storia dell'umanità: "Scienza contro Religione".

Eleonora non crede in un Dio superiore e non avrebbe modo di andare d'accordo con Gildo. Pare poco, ma invece è tantissimo, più di quanto si possa immaginare. Gildo è schematico, pur essendo prevalentemente irrazionale. Eleonora non è schematica ma razionale. Entrambi hanno le loro visioni. Gildo vuole migliorare un ambiente ancorato a  troppi dogmi e convenzioni ormai in disuso e a mio parere, con la mano di qualcuno che la pensa come lui, ci riuscirebbe anche. Eleonora delle certezze vuol fare una professione e delle incertezze un diletto.

Crede nel destino, Eleonora. Non ci crede minimamente Gildo, che non vede alcun disegno, alcun diagramma, alcuna via che non sia quella che ci costruiamo ogni giorno. Un po' filosofo un po' previdente lui. Molto profonda e altrettanto cauta lei. Sono due gocce d'acqua in un oceano di vino (scritto staccato, non "divino". Prendete nota). Non ammetteranno mai di avere qualcosa in comune ma i miei occhi ne vedono tantissime, una su tutte, a dire il vero.
Entrambi credono nel sottoscritto in maniera illimitata e probabilmente senza un motivo.
Stolti, temerari e sognatori. Oltre che coraggiosi. E poi molto zuccherati, proprio come il caffè che ho appena finito di sorseggiare.


FRANCIO