sabato 22 giugno 2013

Quello che non trovate sui libri




Una conchiglia che sussurra modernità, questa è Valencia. Intanto il vento che l'abbraccia ti accarezza la pelle, allontana i pensieri e scatena suggestione.

Ci sono sei delfini, di cui non conosco il nome. Ammaliano una folla colma di gioventù, mentre un leone marino trasmette il senso di umanità sconosciuto all'umanità stessa.

Nella vita non si finisce mai di imparare, ma certe cose sui libri non ci sono scritte. Comprate una qualunque guida turistica, sfogliatene le pagine, poi gettatela pure via. Il profumo della carta e della stampa potrà anche piacervi ma non riuscirà mai a pareggiare ciò che vedrete con gli occhi. Ciò che bagnerà i vostri capelli, prenderà le vostre mani e bacerà le vostre guance.

La vita non è teoria. Non solo, almeno. E' soprattutto pratica. Ti capita di pensarlo quando all'interno del Mestalla -  lo stadio di Valencia - fai un respiro profondo ed assapori la storia. Non la storia del calcio, altrimenti sarebbe banalità pura. Mi riferisco ad una cultura, ad una fede che va aldilà della palla rotolante. La signora incaricata a condurci nella pancia di uno dei tempi del calcio europeo ha gli occhi lucidi quando gli chiedo del futuro della squadra locale: "Lo stadio è sempre pieno, ma siamo sommersi dai debiti. Il Valencia sta soffrendo tanto, ha le tasche vuote. Consoliamoci con il passato...".

Capita spesso che ci si consoli con il passato. E' un ritornello noto a tutti. Io sono il primo a cantarlo con tutti quei ricordi spruzzati qua e là all'interno del mio blog. Una cosa è certa: entrare ed uscire dal Mestalla, parlare con quella donna, mi ha fatto sentire una persona nuova, lo ammetto. Eppure nè io nè il mio migliore amico le abbiamo chiesto come si chiamasse. Forse ci ho anche pensato, ad un certo punto della visita, ma ho lasciato correre. E' giusto che in certi casi, proprio come nelle leggende, le persone che incrociano il tuo cammino non debbano avere un nome, ma solo un volto che rimanga impresso nella mente insieme al suo ricordo.

E' quello che più o meno è successo in centro, quando un simpatico cameriere portoghese ci ha spiegato come andassero le cose da quelle parti davanti ad un piatto di Paella: "Volete sapere dov'è la movida? Ve lo spiego subito. Proseguite per duecento metri, poi girate a destra, troverete un vicolo. Al termine del vicolo svoltate a sinistra e poi nuovamente a destra. Poi continuate dritto per cinquecento metri e troverete un altro vicolo che vi condurrà a Plaza de la Virgin, nel Barrio del Carmen. Lì c'è tutto quello che cercate. Non è lontano.".

Ovviamente ci perdemmo.

Quella sera, a cena, accanto a noi c'era un gruppo di inglesi di età avanzata. Tre di Nottingham ed una di Manchester. Il leader carismatico dei quattro era un tifoso del Brighton, la persona giusta con cui abbozzare un discorso sul calcio. La donna di Manchester mi stupì intervenendo all'improvviso: "Did you stay in England, guy? Your English is perfect!" (Sì, vabbè, e tu sei Queen Elizabeth...).
Poi vidi sul loro tavolo il boccale di Sangria. Era vuoto, non era rimasta neanche una goccia. E tutto a quel punto mi fu chiarissimo...

Nella foto, lo chef Francio. A sinistra il braccio di uno dei quattro inglesi. 

See you soon!

giovedì 13 giugno 2013

Il mio primo appuntamento



Ben ritrovata gente di Camera con Vista!

Se siete ancora sintonizzati sulle mie frequenze ve ne sono immensamente grato. Ho trascurato il blog per un po' ma non l'ho fatto di proposito. E' tutta una questione di esposizione. Non so perché, ma ultimamente mi riesce difficile buttare giù qualcosa nonostante le idee fiocchino come neve. Dal 27 aprile, giorno del mio ultimo intervento, me ne sono successe talmente tante che potrei scriverci un romanzo ma il problema è che non saprei da dove cominciare. Ecco perché ho preso la decisione di non iniziare affatto: niente di niente. Si fa un bel salto di un mese e mezzo e ci si proietta direttamente a ieri pomeriggio, quando in giardino mi sono trovato davanti un libro che non vedevo da anni: "Le avventure di Tom Sawyer".

Quanti di voi lo conoscono? Il nome vi dice qualcosa? Non importa. Il libro in sè non mi interessa, mi interessa più che altro ciò che ha rappresentato. Era tutto impolverato, doveva essere rimasto nel gabbiotto prima che iniziassero i lavori per risistemare il retro della casa. Nel prendere qualche attrezzo i miei zii lo avranno tirato fuori esponendolo involontariamente alle grinfie di Nando che di solito mangia di tutto. Rischio altissimo ma stavolta curiosamente il cane ha lasciato in pace l'oggetto e non posso che ringraziarlo.

Arrivo al punto: volendo giocare un po' con le parole come amo spesso fare, potrei definire Tom Sawyer il mio "tom tom". Il mio navigatore alla scoperta del mondo della "parola". L'edizione che ho appena ritrovato è quella per bambini ed è stata stampata nel 1990, il mio anno di nascita. Ho ricordi nitidi di quel libro, ma non della trama. Il perché è semplice: è stato il primo libro che ho letto, riletto e riletto ancora con lo scopo di imparare come si facesse. Era la primavera del 1996 quando avevo appena finito l'ultimo anno di asilo e mamma chiese a mia cugina - che ha cinque anni più di me  - il favore di insegnarmi a leggere. Le intuizioni di mia madre sono sempre state geniali. Ha sempre voluto che avessi una marcia in più in tutto e ancora oggi non mi spiego perché non mia abbia fatto fare la primina. Voleva che imparassi a leggere in anticipo per capire meglio le dinamiche del nuovo mondo con cui mi sarei trovato a che fare. E in effetti aveva ragione. Grazie a quel cambio di marcia, a mia cugina e alle mattinate primaverili ed estive di quel '96 in cui sacrificai le macchinine per "Tom", imparai ciò che i miei futuri compagni di scuola avrebbero appreso in mesi e mesi di pratica.

La cosa mi prese fin da subito, non so esattamente perché.  Forse per il mio amore eterno verso le sfide, Forse perchè non vedevo l'ora di sfogliare i libri che c'erano sullo scaffale senza soffermarmi sulle figure. O forse ce l'avevo nel sangue già da bambino, chissà. Magari adesso avessi quell'intraprendenza anche nello studio dei testi universitari! Se fossi come il "Francesco bambino", avrei la strada spianata quotidianamente, ne sono certo!

Faccio un attimo il romantico. Quello con Tom Sawyer lo definisco il mio "primo appuntamento". Il primo impatto con un mondo, il "mondo delle parole", che mi ha sempre affascinato. Certo, sapevo già parlare bene a sei anni compiuti, ma imparare a leggere è un'altra cosa. Si apprende ciò che è impresso sulla carta, sui muri, ovunque...

Ancora oggi vorrei imparare ogni giorno nuove parole ma la difficoltà resta quella di sempre: saperle usare in base al contesto. A volte bisogna essere scaltri nel capire con chi si ha a che fare per evitare che ti scambino per quello che non sei. Altre, invece, devi furbescamente mostrarti proprio per quello che non sei per evitare di mettere a disagio il tuo interlocutore. Raramente ci riesco, perché alla fine scelgo di essere me stesso. Potrei definirla "deformazione professionale" ma non escludo che si tratti della "sindrome di Tom". In fondo fingere non fa mai bene, l'ho sempre detto!

Passo e chiudo. Il libro ha bisogno di una rispolverata...



Francio