lunedì 30 dicembre 2013

Trema la terra, tremano le gambe


In questo mondo pieno di contraddizioni non posso fare a meno di notare come un avvenimento potenzialmente drammatico possa trasformarsi in motivo di aggregazione. Me ne resi conto con la morte di Giovanni Paolo II per la prima volta, ma in realtà c'erano già state altre prime volte senza nemmeno che me ne fossi accorto. Il Papa era morto ma una folla impressionante di fedeli si ritrovò a fare quadrato, unita nel dolore. Poi altre circostanze drammatiche hanno invaso la mia vita rafforzando questa tesi. Una volta credevo di aver commesso un omicidio, ma per fortuna mi sbagliavo. Ero nella mia Panda, un signore attraversò la corsia d'improvviso e lo investii. Riuscii a frenare all'ultimo secondo solo grazie all'aiuto di chi mi era accanto, altrimenti sarebbe andata diversamente. Sono sicuro che rivedendo quella persona la inviterei a prendere un caffè per scambiare quattro chiacchiere. E sono ancora più sicuro che lui quelle quattro chiacchiere con me le scambierebbe volentieri. Eppure quel giorno potevamo rimetterci al vita entrambi. Lui avrebbe potuto morire, io non avrei sopportato il peso di una cosa simile. 

Ma aldilà di questo, delle circostanze che mi portarono a compiere maldestramente un gesto simile e delle conseguenze che si ripercossero sul mio modo di vivere le due settimane successive, resta la stranezza. Le emozioni forti uniscono le persone, e la natura di queste emozioni conta davvero poco. 

Circa mezz'ora dopo la scossa di ieri pomeriggio sento  squillare il telefono di casa. Il prefisso è di quelli inusuali: "059". Mai visto, ma considerando che era domenica la probabilità che fosse un call center erano minime. La telefonata arrivava da Modena e dall'altro capo del telefono c'era una certa "Zia Grazia". Una voce anziana, che non avevo mai sentito in vita mia. Probabilmente l'avrò anche sentita in passato, ma se così fosse mi gioco qualsiasi cosa che ero talmente piccolo da ricordarmene. "State tutti bene, sono preoccupatissima". Mai sentita per gli auguri, mai vista di persona dopo i 4 anni di età, mai ragionato dell'esistenza di una cugina di mio nonno stabilitasi in Emilia. Eppure era preoccupata per me. Mi chiamava per nome e aveva una voce di quelle che non riescono proprio a fingere. 

Chiamiamoli pure legami di sangue, ma cos'è questa telefonata se non qualcosa di aggregante? Ero solo in casa, ma quando sono tornati i miei ho fatto richiamare a quello strano numero. Papà è stato mezz'ora al telefono aggiornando questa zia di eventi verificatisi negli ultimi due, tre anni. Ai tempi del web 2.0 mi è sembrata davvero una cosa fuori dal mondo. Mi ha ricordato di quando giocavo con la palla nel salone dei miei nonni, ancora ignaro di cosa fossero un computer e un cellulare. Un modo alternativo di parlarsi che credo andrà scemando via via. Così come vedo sempre meno bambini conoscere l'esistenza del Subbuteo, gioco da tavolo sul calcio che mi ha giocato un ruolo decisivo sulle mie ambizioni. Prendevo i giocatori, li disponevo in campo e iniziavo a fare una partita da solo. Avevo otto anni, mia nonna era uno splendore e mi ascoltava mentre facevo la telecronaca di un'improbabile partita. 
A proposito, nonna... vabbé. Te ne parlo la prossima volta.

Francio



martedì 3 dicembre 2013

Lettera a Santa Claus

Caro Babbo Natale,
sono trascorsi tre lustri da quando ho capito che non esisti per davvero. E quando si comincia a ragionare per lustri, lo sai meglio di me tu che hai i capelli bianchi, vuol dire che ci si sta avviando a non essere più bambini.

Eravamo in macchina fermi ai semafori che dividono il Rione Ferrovia dal resto della città, quando sparisti improvvisamente dal sedile posteriore volando via come un dolce ricordo. Lo sai, ho sempre avuto quel brutto vizio di fare troppe domande a costo di mettere in difficoltà l'interlocutore, eppure quella sera di dicembre tutto partì dai miei genitori: "Ancora non ci hai detto cosa vuoi che ti porti Babbo Natale, perchè non ne parliamo?". Non glielo avevo detto perchè non volevo svelare nulla. Ti avevo scritto una lettera in modo che solo tu sapessi cosa ci fosse scritto all'interno, poi l'avevo nascosta in un cassetto come si usa fare con i sogni.

"Quest'anno non voglio dirvelo, sarà una sorpresa anche per voi". Risposi fieramente dal basso dei miei otto anni. Notai fin da subito che non ne furono felici. Anzi, disorientati è il termine giusto. Avevo condiviso qualsiasi idea con loro fino a quel momento, e nascondergli i contenuti di un mio desiderio doveva sembrargli una cosa da adolescenti, più che da bambini. Ma se c'è una cosa che mi ha sempre lasciato un senso di disagio (e sono certo che sai anche questo...) quella è il silenzio. Mi riferisco al silenzio immotivato, quel genere di silenzio che fa seguito ad un'affermazione seria. Quello che arriva quando invece sei più che sicuro che il tuo interlocutore dirà qualcosa per controbattere.

Niente, loro non parlarono. Non so tu come avresti reagito, ma so quello che feci io. Rincarai la dose.  "Ma posso chiedervi perchè volete saperlo?". Niente. Ancora silenzio, silenzio, silenzio. Fino alla domanda più triste, che da ventitreenne ora paragonerei ad un "Quindi non mi ami più?" rivolto alla propria fidanzata in un momento di crisi.  "Voi pensate che Babbo Natale non esiste, vero?". Inutile dirlo. Silenzio.

Ho sempre ritenuto che non seppero comportarsi. Nelle parole non furono abbastanza lucidi e le loro menti risultarono incapaci di qualsiasi tipo di improvvisazione. Papà alla guida, mamma accanto e io dietro di loro insieme a te. Avevo otto anni, che a molti potrebbero anche sembrare troppi per un bambino che smette di credere in Santa Claus, ma ti assicuro che non lo sono mai stati per uno che i bambini li adora. Il fatto che quella sera sia ancora stampata nella mia mente, poi, la dice lunga sulla mia ammirazione nei tuoi confronti. Non sono riuscito a dimenticarla nemmeno a distanza di quindici anni, ricordando dettagli che in altre circostanze brucerei in un baleno.

Siamo al 3 dicembre ed è presto per parlare di alberi, regali, renne e qualsiasi altro tipo di cosa legata alla Festività più amata nel mondo, ma ricordo che era proprio di questi tempi che da piccolo impugnavo la penna, prendevo un foglio, e scrivevo righe improbabili colme di complimenti rivolti a te, una sorta di nonno vestito di rosso. Internet ancora non esisteva e le lettere impiegano generalmente diverso tempo per arrivare in Finlandia.  Il vantaggio di avere un blog, tuttavia, sta tutto nel poterti scrivere qualcosa senza preoccuparmi della mia terribile calligrafia. Quella è cambiata pochissimo, nonostante gli anni. E' fatta un po' come me...

Francesco