giovedì 17 gennaio 2013

Un addio silenzioso




Ricordo la prima volta che entrai nella redazione di beneventofree.it . Era un giorno di luglio, anno 2009.
Faceva caldo, un caldo afoso, di quelli che ti sciolgono come un gelato anche se non hai sangue nelle vene. Per un ragazzo dal cuore giallorosso e con la passione per il giornalismo, erano tempi duri. Il Benevento aveva appena fallito il suo appuntamento con la storia perdendo una maledetta finale play off contro il Crotone e io avevo provato invano a chiedere di collaborare per il Sannio Quotidiano. Nemmeno una gara di terza categoria, tutto pieno. D'altra parte era difficile poter scommettere su un ragazzo poco più che maggiorenne.

Inviai una email alla redazione di beneventofree e vi entrai avvolto dallo scetticismo. Non chiesi di scrivere sul Benevento, sarei stato un presuntuoso. Chiesi di scrivere per qualsiasi cosa perchè il mio obiettivo era dare sfogo alla fantasia, oltre che al mio pensiero. E così ai primi di agosto fu pubblicato un articolo-inchiesta sul Paladua, poi via via molte cose sulla pallamano, fino ad arrivare alle notizie sulle altre squadre del girone dei giallorossi.

La mia presenza costante ed un corsivo scritto con un pizzico di estro, fecero sì che Antonio -  il mio direttore - si convincesse a gettarmi nella mischia e affidarmi una pagina su Giallorossi Free Magazine, il periodico distribuito allo stadio prima delle partite del Benevento. Per me, che collezionavo il giornale da mesi, era un sogno realizzato. Sul foglio che presenta la partita e di cui si nutre il tifoso sfegatato, ci sarebbe stata la mia firma. 

Ricordo che quando fu pubblicata la mia prima intervista mi scese una lacrima. Di lì a poco le lacrime si sarebbero moltiplicate, perchè a ritmo di impegno e volontà avrei scritto diverse volte in seconda pagina, fino ad arrivare all'appuntamento fisso in Prima, al fianco dell'editoriale del direttore. La fiducia in me aumentò di mese in mese e tra web e cartaceo mi sentivo realizzato. Non percepivo neppure un euro ma non mi fregava granchè dei soldi: sono stato sempre convinto che il potere dei desideri non è quantificabile in soldi. 

Questo ragionamento, abbinato a quel giornale - anzi, quei giornali -  mi ha fatto crescere e maturare. Mi ha spinto lontano da amicizie e donne. Una su tutte la mia ex che odiava profondamente il mio lavoro, definito "una perdita di tempo". Non ha mai capito che nel mio cuore non c'era spazio solo per lei, probabilmente, ma non gliene faccio una colpa. Non è da tutti comprenderlo. 

Quel giornale - dicevo - mi ha privato di tante cose senza mai farmi sentire il peso della rinuncia. Quel giornale mi ha regalato sorrisi quando il mondo si era dimenticato di me e quando la notte era davvero buia e tempestosa. Beneventofree è stato e sarà sempre un pezzo della mia vita. Non per il nome, non per retorica ma per sensazioni che a stento più di un paio di esseri umani sono riusciti a donarmi in questo arco di tempo. 

Sono stati tre anni e mezzo fantastici ricchi di gioie e dolori, di sorrisi e pianti. Dalla maratona in redazione per l'arresto di Paoloni, quando rimasi con l'editore a mangiare un panino con il salame per non distogliere lo sguardo dagli aggiornamenti, fino ad arrivare alla stampa del giornale con quell'odore d'inchiostro che saliva dal seminterrato - dove stampavano le copie - e si attaccava sulla mia pelle fino alla doccia successiva. 

Ricordo degli ultmi minuti di calciomercato, quando con Antonio era una corsa contro il tempo per pubblicare la notizia dell'acquisto o cessione. E ricordo soprattutto il saluto alla redazione di via Pirandello 12, ormai svuotata di ogni alone magico per via di una crisi che non ha risparmiato proprio nessuno. L'abbraccio con il grafico, i dipendenti. L'in bocca al lupo dell'editore per una nuova vita che si sperava fosse più semplice. Più equilibrata dei salti mortali a cui ci eravamo abituati negli ultimi mesi, quando mancavano anche i computer per lavorare. 

L'approdo alla nuova sede di via Santa Colomba (già, "l'approdo"), ha cambiato la fisionomia del giornale e soprattutto la sua anima. Niente più esclusive, niente più news in anteprima, niente più critiche. Anche se avevamo una notizia fresca al pomeriggio, dovevamo darla all'indomani per non causare disguidi al quotidiano di riferimento appartenente allo stesso, nuovo, editore. 

Sono stati e sono ancora tempi duri, con le visite dei lettori giornalieri comunque in crescendo, a confermare la grandezza del lavoro svolto da Antonio in primis e poi da me me dall'amico e collega Ivan. Un mastino, una lepre, un leone Un topolino. Uno che a seconda dei casi sa agire come serve. E sempre con tempismo, senza deludere. Il nostro segreto è sempre stato il gioco di squadra e i gol sono stati tanti. Tantissimi.

Ora, giovedì 17 gennaio, qualcuno si è stancato di vedere quei gol e la missione sembra al capolinea per decisioni che pendono dall'alto. Probabilmente, se la testa mi dirà così e dirà così anche a chi comanda,  mi ritroverò senza lavoro e ciò che questa avventura mi ha riservato sarà testimoniato dal solo tesserino di giornalista ritirato ai primi di gennaio.

Imprevedibilità della vita, sfortuna o semplicemente destino? Non so di cosa si tratti. Ciò di cui sono convinto e contento, è solo il mio sogno. Quello non lo abbandonerò mai, al diavolo gli ostacoli. 

Come uso spesso ripetere agli amici, mi appoggio ad una massima:  "se la strada intrapresa è in salita e ricca di  insidie, probabilmente è quella che porta al traguardo". 

E il mio traguardo non cambia. Forse è solo giunto il momento di iniziare a correre più veloce...

FRANCIO

lunedì 7 gennaio 2013

Tornare a vivere




Il sette gennaio, per antonomasia, è il giorno dei ritorni dolorosi e delle partenze strazianti. Sono sempre stato convinto che il nuovo anno cominci oggi, nel primo vero giorno di una serie lunga 365 chilometri.
Dal primo al 6 gennaio si vive in un limbo, in una sorta di parentesi che si apre con una bottiglia di spumante e si chiude con il volo di una befana tra le nuvole dei ricordi. Ognuno di noi sa, il sette gennaio, che sta rinunciando a qualcosa. Ognuno di noi conosce che sta per andare incontro a nuove sfide, nuovi traguardi, nuove ambizioni. E' il punto in cui un vecchio volume viene chiuso e si comincia ad accarezzare la copertina di un libro ancora tutto da scrivere.
Ne ho scrtti circa ventitrè, io. Alcuni più interessanti, altri meno. Alcuni ricchi di spunti, lacrime, gioia e sentimento. Altri colmi di speranze disilluse, di sogni infranti. Dei noir veri e propri che meriterebbero addirittura di essere chiusi in uno scatolone in soffitta. La ragione per cui li tengo ben in vista sullo scaffale è data dal fatto che è stato grazie alle cadute, alle difficoltà ed agli ostacoli che sono divenuto più forte e fiero di me.

Il sette gennaio, dicevo, lancia sempre una sfida. Sembra ieri quando questa era rappresentata dalla pagella scolastica, un cruccio più che altro dei miei genitori che speravano di non essere delusi a primavera. Poi la pallamano, con il campionato under 14 e poi con quello under 16. Perdevamo sempre, eravamo scarsi, ma il sette gennaio mi alzavo e dicevo "quest'anno una partita riusciremo a vincerla". Ce l'avremmo fatta qualche mese dopo, con le dovute difficoltà. E avremmo festeggiato come se avessimo vinto i Campionati del Mondo.

Gli anni, poi, sono passati veloci. Dice bene chi sostiene che dopo i diciotto, dopo la scuola, quasi perdi il senso delle misure e del tempo. Il prossimo 4 aprile ne chiuderò 23 e quasi non mi sembra vero che ne siano passati già 5 da quando sono diventato maggiorenne e da quando ho iniziato a guidare. Sarà che adesso io e la macchina siamo pappa e ciccia, ma non credevo di condurla da così tanto tempo. E a volte ho la sensazione che sia lei a guidare me.

Così come sono passati veloci gli anni, sono mutate anche le tendenze, gli obiettivi e gli stimoli. Quelli del nuovo anno riguardano meno gli altri e più me stesso. Ho bisogno di capirmi, conoscermi e mettermi in gioco. Nel lavoro come nella vita. Solo qualche giorno fa ho ritirato il tesserino di giornalista, un altro traguardo tagliato dopo mesi di sforzi e che ho intenzione di trasformare in un nastro di partenza. L'amore arriverà, nel 2013 o quando sarà. Uno come me ne ha bisogno come il pane ma ho deciso di non farmene un assillo. Ho sbagliato troppe volte in questo campo e perseverare sarebbe diabolico. Come? Manca la fortuna? No, lasciamo perdere... mi basta quella di avere accanto persone vere. E poi lo sapete che con la Dea Bendata ho una relazione  a dir poco complessa.
Obiettivo: Tornare a vivere. Fare ciò che non ho fatto negli ultimi mesi. Magari farlo con una laurea in più, un microfono in pugno ed il sorriso mio e di chi mi è accanto eternamente stampato sulle labbra. Ecco, così non sarebbe male...


La foto si riferisce ai 18 anni di "Sarita" Palmieri (11/11/2010), carissima amica attualmente impegnata a saltare con i canguri nella lontana Australia. Lei ha svoltato più di ogni altro, io spero di raggiungerla presto nel club della "gente con le palle". 

Francio