lunedì 28 novembre 2011

Quella volta, all'Arco.


La mia Benevento è piena di magia. Una magia diversa da quella delle grandi capitali europee. Questa qui non svanisce al primo appuntamento che fissi, ma si protrae nel tempo. Benevento è piena di tutto, anche se c'è chi dice che è colma di niente. Non è vero che è una città vuota, forse il vuoto è nella testa di chi vorrebbe di più da un posto simile. Nel suo centro storico sono scritte leggende, nei suoi vicoli scorre il fiume del sapere. Benevento è cultura, ma anche ignoranza. Per questo è unica, Benevento.
Tra le sue mura, ai piedi del grande monumento dedicato all'imperatore Traiano, si scrivono pagine di vita quotidiana, cicatrici di esistenza che conserverai per sempre. Che tu voglia o no.
Quella volta, ad esempio, all'Arco eravamo in venticinque, forse meno. Forse più.
Non era raro che superassimo la ventina, assiepati su panchine che bollavamo come "nostre". Cosa fanno i ragazzini nelle sere d'autunno? Provate a fare la stessa domanda ad un sedicenne di oggi e ad uno di ieri. Le risposte non coincideranno. Noi perdevamo tempo, tra una parola e l'altra, tra una coca cola e un pò di patatine che talvolta avevamo voglia di comprare. Le panchine il nostro rifugio, il sabato il nostro giorno. La presenza della scuola e l'assenza di mezzi tutti nostri ci impedivano l'adunata nel mezzo della settimana.
Erano giorni pieni di fame e di sete. Eravamo sempre insieme ma non ci stancavamo mai. E una cosa particolare, che resterà sempre nella mia mente, è che non eravamo mai abbastanza consapevoli di chi avessimo davanti. C'era sempre qualcosa da scoprire nei nostri discorsi. Spacciarsi per fascisti e non sapere neanche chi fosse Mussolini, idem per il comunismo e Stalin. C'era molta ignoranza, ma la cosa rendeva tutto più entusiasmante.
Quando poi lasciavamo le panchine per dirigerci altrove era il finimondo. Tutte quelle persone in una pizzeria dove le metti? Figurarsi se ci veniva in mente di prenotare. Eravamo tipi estemporanei, noi. Programmare era mestiere altrui. E' per questo che avevamo sempre il raffreddore quando tornavamo a casa, e la domenica ci alzavamo col mal di gola. Dicevamo ai "nostri" di aver mangiato una pizza, quando invece era un'ipotesi che non prendevamo neanche in considerazione. Non esisteva facebook e poteva capitare di non sentirsi fino al sabato successivo. Ricordo che al momento del congedo, con musi lunghi ed occhi tristi, ci lasciavamo così: "Devo andare, ci sentiamo sul cell se riesco a farmi una ricarica". Ecco, se c'è qualcuno in "ascolto" può confermarlo: non avevamo mai soldi sul cellulare (sia lodato il creatore dell'infinity...che ci risolse tanti problemi).
Meno frequente ma più incisivo, invece, era il secco e malinconico "ci vediamo sabato alle otto, stesso posto stessa ora". Ore venti, alle panchine dell'Arco.Un appuntamento che non potevi mancare per nulla al mondo.
Ancora oggi ci torno spesso per inerzia e curiosità, ma non trovo più nessuno...

Non l'ho scritto nella presentazione, ma ne approfitto ora. Questo blog è per pochi. Racconterà della mia vita, dei miei ricordi e di tutto ciò che mi passerà per la mente. E' dedicato a chi mi seguiva assiduamente su quello precedente e soprattutto ai miei cari amici  andati via da Benevento per ragioni legate allo studio o al lavoro. Spero di non annoiarvi troppo.

FRANCIO.

mercoledì 23 novembre 2011

Quando i Modà non erano di moda...

E' passato un pò di tempo, ma sembra ieri. Sono trascorsi quasi sette anni da quando decisi di dare alla luce un blog, e perfino troppi da quando decisi di abbandonarlo. Era il 2005 e la febbre di Msn aveva contagiato tutti. Io non fui capace di distinguermi. Blog targati myspace spuntavano come funghi, ed ero un semplice studente al secondo anno delle superiori. Istituto Tecnico Commerciale Salvatore Rampone di Benevento, un luogo in cui entri con tanti sogni nel cassetto e da cui esci con un diploma che dovrebbe essere un buon biglietto da visita in tema di informatica. Macchè. Succede che cresci, comprendi che quello che stai studiando non è nemmeno vicino un chilometro a quello che vorresti essere in futuro, e ti accorgi pure che quel blog pieno di polvere aperto un giorno qualunque, in un momento qualunque, non serva più.
Ricordo che ci scrivevo di tutto, dalle ragazze al calcio, passando per le feste che davamo con i compagni di classe e le occasioni in cui disertavamo le lezioni.
Era un riferimento, quel blog, e pur essendo partorito dalla mente di un ragazzo di quindici anni, ancora oggi lo troverei tremendamente attuale. E' stato il punto di incontro tra il mio essere immigrato digitale ed il sentirmi finalmente nativo. Già, perchè se è vero che non sono un "nativo", è altrettanto vero che non mi sento neanche immigrato. Provate a metterci mio nonno, ora, su facebook.
Tornando al freddo ed austero istituto Rampone, che mi manca tanto, sia chiaro, ero l'unico della mia classe di ventitrè a possedere e curare uno spazio personale. E' che mi è sempre piaciuto scrivere, non posso farci niente. Ora che ci penso, mi è capitato di subire anche qualche minaccia.
Confesso, me la sono sempre cercata. Una volta pubblicai la foto di tre compagni di scuola che avevano "tradito" i patti non partecipando allo sciopero generale. Nello scatto, i tre che stavano per varcare la porta d'ingresso. L'istantanea era messa lì, "in prima pagina". Inequivocabile il titolo: "TRADITORI". Roba da matti, direi ora. No, non sono mai stato un bullo, ma ricordo che il resto della classe mi portò in trionfo offrendomi pure la colazione. Un successo. 
Erano tempi in cui i Modà erano un gruppetto semisconosciuto che vedevi un giorno sì e mille no su Video Italia. Tempi in cui l'Italia del calcio non aveva ancora vinto il suo quarto Mondiale, evento che ora sembra già distante anni luce.
Il mio blog aveva un titolo da quindicenne: "Chi non sogna non fa sognare". Da dove lo presi? Da una canzone dei Modà, ovvio. Solo che adesso non mi piacciono più. Sarà che sono cresciuto, sarà che sono cambiato. Ma all'epoca ci credevo davvero che chi non sogna non facesse sognare. Il fatto è che poi hanno iniziato a sognare in tanti per puro sfizio. E noi, sognatori per professione, siamo stati sloggiati e messi da parte dal tempo che è passato troppo in fretta. Già, ne è passato tanto, ma sembra ieri.