sabato 27 aprile 2013

L'importanza di essere numeri uno




C'è un romanzo di Paolo Giordano che regalai a mia cugina Floriana lo scorso Natale. Uno di quelli che hanno sbarcato il lunario, ma non sono sicuro che lei lo abbia iniziato a leggere. Anzi, forse non lo ha mai neanche aperto per sfogliarne le pagine. Sta di fatto che è stato proprio quel romanzo a fornirmi l'assist per il titolo di questo intervento. Perché se i numeri primi soffrono di solitudine, i numeri uno soffrono altrettanto di importanza.

Ora vi starete chiedendo come diamine si può "soffrire di importanza". Beh, la risposta non la so, ma so per certo che si può.

Tutto questo per dirvi che oggi voglio trasgredire, liberarmi dall'ipocrisia, farmi scivolare addosso le critiche. Troppe volte sono stato severo con me stesso perché ho utilizzato un termine di paragone decisamente complesso. Ho messo a confronto la mia personalità con la personalità perfetta, uscendone logicamente sempre sconfitto. Ma è lì che sbagliavo. Perché i numeri uno non sono i perfetti, quelli che non sbagliano mai. I numeri uno sono le persone che emergono all'interno di una cerchia più o meno vasta.

Prendiamo due mostri della pittura, ad esempio: Vincent Van Gogh e Pablo Picasso. Io non sono un esperto, mi limito ad osservare i quadri andando oltre con la mia fantasia. Non ho mai pensato di interpretare un quadro di questi due secondo i loro dettami, ma secondo i miei, e non credo sia un limite a dispetto di quanto vogliano far credere i critici.

Van Gogh e Picasso sono entrambi dei numeri uno. Hanno vissuto in età leggermente differenti, ma se pure fossero stati coetanei sarebbero entrambi saliti sul gradino più alto del podio nel loro genere. Non perché fossero perfetti, ma perché emergevano. Perché avevano qualcosa che altri sognavano di avere. Chiamatelo "quid", chiamatelo "valore aggiunto", chiamatelo "dono". In ogni caso avevano una marcia in più.

Questi sono i numeri uno, e ci ho messo davvero tanto a capirlo che quasi me ne vergogno. Ho trascorso tempo ad inserire in questa categoria persone che non ne facevano parte, ma è stato un errore mio di cui mi assumo le responsabilità. Nella vita si può sbagliare, si può cadere. L'importante è rendersene conto e trovare la forza di rialzarsi.

Giusto sette giorni fa ho vissuto la gioia sportiva più grande della mia vita. E la cosa buffa è che di mezzo non ci fosse un pallone rotolante su un prato verde. C'era la pallamano. Mi sono reso conto di essere partecipe in prima persona dell'impresa quando a tre giornate dalla fine del campionato ho visto piangere delle persone per quello che avevo scritto qualche ora prima. E' stata una sensazione stranissima e non per i complimenti ma per il coinvolgimento emotivo. Non credevo che le mie parole potessero fare questo. Non mi davo tutta questa capacità.

Poi ho parlato con altre persone, che mi seguono assiduamente nel pensare e nello scrivere ed ho capito che forse un principio di verità in quei complimenti c'era. Ho sentito o letto le voci di Mabel, Simona, Sara, Vanessa, Eleonora, Massimo, Gildo, Giulia, Carlo, Manuel e Alessio. Le ho sentite forti nelle orecchie ma soprattutto nel cuore. Erano sincere.

Ho metabolizzato tardi ma finalmente capito che dovevo finirla di mettermi alla stregua di chi non mi ha mai apprezzato a fondo. Di stare dietro ai numeri due, tre, quattro, cinque. Un giorno forse diverranno anche loro numeri uno per qualche persona o per qualche titolo acquisito, ma per il momento non mi fanno compagnia in questo traffico di numeri uno.

Chi mi conosce sa che raramente mi attribuisco meriti. Sono permaloso, questo sì, ma non pecco di presunzione. Stamattina -  in questo grigio sabato mattina -  mi andava di urlare a me stesso che non sono secondo a nessuno. Pure la mia faccia, vista allo specchio, sembra meno stanca del solito nonostante il consueto mal di testa post-venerdì.

Proprio quello sguardo perso nel sonno mi ha spronato a scrivere qualcosa di diverso, di più incisivo. Di più diretto. Ne è uscita una sorta di autocelebrazione forse antipatica, scomoda e sgradevole che mi ha portato a paragonarmi a mostri della pittura. La differenza è che loro avevano e continuano ad avere una cerchia di seguaci immensa, io molto più concentrata ma non per questo meno importante.

Le cose sentite sono sempre le più belle, perché sono vere e sincere.

Perché sono da numeri uno. E io, Francesco Carluccio, sono un numero uno.

FRANCIO