venerdì 11 ottobre 2013

Toh, una busta tutta per me!

Quando avevo tredici anni papà mi portò a Torino, a vedere la Juventus. Sua cugina lavorava nel club, quindi avevamo libero accesso agli allenamenti della squadra. Cosa ci sarebbe di strano? - vi starete chiedendo. In realtà nulla, se non fosse che le sedute erano tutte a porte chiuse per volere dell'allenatore, tale Marcello Lippi che poco più tardi ci avrebbe fatto arrampicare sul tetto del mondo, calcisticamente parlando..

Ma questa è un'altra storia. 

Quel giorno vidi la macchina di Lippi nel parcheggio, mi avvicinai al finestrino e notai una busta appoggiata sul sedile posteriore. Sopra c'era impresso a penna il destinatario "Al Signor Marcello Lippi". Era una di quelle buste che solitamente vengono utilizzate per contenere le fotografie. Per un po' di giorni mi sono stranamente chiesto a ripetizione cosa ci fosse dentro. "Chissà... tattiche? Foto di squadra? O magari una foto della sua famiglia?". A distanza di tempo dico che mi ponevo quesiti stupidissimi. Saranno anche fattacci suoi, no?!.

Oggi pomeriggio una busta simile è stata recapitata proprio a me, al "Signor Carluccio". Buffo, strano, anomalo, ma la prima cosa che mi è passata per la testa è stato proprio l'episodio di quel pomeriggio del 2003. Identica la domanda: "cosa ci sarà dentro?". La differenza è che stavolta potevo saperlo ccon facilità. La busta era tra le mie mani, non ci sarebbe voluto molto ad aprirla. 

Ecco il risultato...




La ritengo una foto bellissima proprio perché non ne sono il protagonista. Anzi, mi verrebbe da chiedere al fotografo cosa volesse inquadrare di preciso. E' l'8 settembre 2013, stadio Carlo Zecchini di Grosseto. Dopo la telecronaca del Ferraris (Sampdoria - Benevento, una serata da sogno che credo appartenga ad una vita parallela), eccomi di fianco ad Antonio per il debutto in campionato. Per chi non lo avesse capito (spero pochi), noi siamo quelli in cima, seduti al tavolo di plastica, "microfonati" e con le cuffie nelle orecchie. Più giù ci sono una serie di componenti della dirigenza giallorossa, ma dalle facce devo dedurre che eravamo ancora in svantaggio 1-0. Sarebbe finita 1-1, il Benevento avrebbe anche potuto vincere, ma ciò che mi interessa maggiormente, ora, è godermi questa fotografia. Di una sconfinata bellezza racchiusa in una sfavillante semplicità.

Frà




mercoledì 9 ottobre 2013

Il saluto più bello



Della vicenda Evacuo ne ho abbastanza. Le cose inutili hanno tutte qualcosa in comune, oltre alla loro futilità. Tutte fanno parlare di sè in modo molto più intenso rispetto alle cose utili. E' un classico. Devo iniziare a pensare che lo si faccia di proposito: approfondiamo gli argomenti di poca sostanza perchè è più semplice affrontare un ragionamento su di essi. Figuriamoci se ci mettiamo a perdere del tempo su argomenti di dibattito più seri, fossero pure il film da consigliare o le preferenze per la cena. No. Il saluto di Felice Evacuo.

Basta. Mi ero promesso di finirla questo pomeriggio. Finalmente un giorno libero dopo 72 ore di puro stress, spese a dare spiegazioni a chiunque mi trovassi a tiro, a scrivere trattati sulla questione, a sfogarmi con la gente a cui voglio maggiormente bene. Basta perchè, fondamentalmente, di questo passo la voglia di entrare in uno stadio non ti viene nemmeno lontanamente. Neppure se devi andarci a scrivere, a fare il lavoro che sognavi da bambino.

E così ho deciso di andare dal barbiere. Ogni volta che vado dal barbiere penso che presto o tardi non ci andrò più. Non per una scelta personale, ma perchè la natura ha voluto così. Quindi eccomi qua ad aspettare che arrivi il mio turno in salotto. Di là una voce familiare chiede opinioni sulla vicenda al "coiffeur": "Pasquà, ma che ne pensi del caso del secolo?"

Al che, incuriosito, drizzo le antenne. Non potevano certo riferirsi ad Evacuo, al suo saluto di ringraziamento alla tifoseria della Nocerina e alla reazione dei beneventani. Poi, senza trovare risposta dall' artista del capello, ecco che il cliente prosegue: "Ma Pasquà qui c'è gente che muore a Lampedusa per scappare alla guerra, persone che si suicidano per la disoccupazione. Vorrei una tua opinione da profano: questo saluto è davvero una cosa grave?".

Pasquale non segue il Benevento, è chiaramente in difficoltà. Per dirla in termini calcistici, sta subendo un pressing asfissiante e l'unica cosa che può fare è gettare la palla in corner, o al meglio in fallo laterale: "Professò, guardate. E' il vostro giorno fortunato. E' appena arrivato un giornalista. Lui sa tutto, vi spiegherà i dettagli".

Faccio orecchie da mercante, tanto sono nell'altra stanza, leggo una rivista che non parla di calcio. Ascolto una canzone che non ha niente a che fare con il calcio e sono seduto accanto ad uno che ha l'aria di poter intendersi di tutto. Fuorchè di calcio.

"Francesco, ti va di spiegare al professore come sono andate le cose?". Eccola là. Tre giorni a ripetere i fatti, a scriverli, a commentarli e finalmente ad evitarli, che mi ci ritrovo di nuovo magicamente dentro.
"Buonasera professor...Morelli!?"

Anni che non lo vedevo. Era proprio lui, il mio prof di francese alle medie. Invecchiato di un po', devo dire, ma lo stile è sempre il solito. Beige prevalente su tutto, gusto discutibile nel vestire. Il prototipo del giornalista degli anni Ottanta. 

"Insomma, vuole sapere di Evacuo? Mi dica prima se si ricorda di me però..."

Qualche tentennamento. Sta tagliando i capelli, quindi mi osserva attraverso lo specchio.

 - "Francesco Carluccio. Bene, quanto tempo sarà passato? Quindici anni?"
 - "Qualcosa in meno prof. Qualcosina in meno..."

Ricordo che Morelli aveva la tessera di giornalista. E' a lui che l'ho vista per la prima volta. E devo proprio a lui la conoscenza dell'oggetto. Senza il suo corso pomeridiano di giornalismo - pressochè inutile, va detto - probabilmente avrei saputo della tessera cinque o sei anni dopo. Un dettaglio irrilevante, certo, ma pur sempre un dettaglio.

A quel punto si parla di Evacuo, ma poco, perchè nel mio pomeriggio libero non c'è spazio per il calcio. Glielo faccio presente e lui accetta di buon grado. Mi invita a prendere un caffè: "Vieni pure a casa mia, un giorno di questi. Abito al palazzo all'angolo. Parliamo un po' di tutto. Mi ha fatto immensamente piacere".

Paga e se ne va. Saluta pure Pasquale, a cui dice qualcosa sul mio conto. Doveva ricordarsi di me per forza, perchè avrò preso cinque o sei note di merito da parte sua. Il francese sarebbe stata la mia seconda lingua se solo mi fossi applicato. Evidentemente non l'ho fatto, pur avendo una predisposizione naturale ad apprenderlo.

D'altra parte lo dico sempre: "a cap è na sfogl e cipoll"
O meglio, "la tête est une feuille d'oignon"...

Frà