sabato 23 febbraio 2013

"Saturday Night Fever"



Trentasette e quattro. Non è granchè, ma dà un fastidio enorme, quasi come un calcio nelle parti basse.
In realtà non ho molto da scrivere, ma mi allettava il titolo: "La febbre del sabato sera". Da quando nella mia vita i week end hanno un senso, credo che sia la prima volta che una febbraccia mi tenga fermo ai box nel giorno della settimana più atteso.
In tivù poi davano Palermo-Genoa. Zero a zero, partita bruttissima, di quelle che ti fanno odiare il calcio. Su Italia 1 Asterix alle Olimpiadi non era certamente inserito nella lista dei miei film preferiti... Allora eccomi a scrivere due cazzate su "Camera", come avviene spesso ultimamente.
E la novità è che non so davvero cosa scrivere. Ah sì, una cosa da dire ce l'ho. Tra qualche ora si vota ragazzi. Non facciamo scherzi, entriamo in quella cabina e mettiamoci la testa. Facciamo agire il cervello.
Io spero di provvedere entro lunedì. Spero anche di uscire da questa prigione perchè non ce la faccio più, ma spero anche che quando sarò finalmente guarito, alla guida del mio Paese ci sia qualcuno con la testa sulle spalle.

Intanto buon sabato sera a voi. Quando scrivo sono appena le 23. Insomma, c'è tempo. Avete ancora tanto da dare alla notte...

Francio

giovedì 21 febbraio 2013

Tra febbre, insonnia e realtà




L'influenza, l'insonnia, e quelle notti che sembrano infinite. Vorrei tornare a viverle con i miei amici, piuttosto che a letto. Sembra che dormi per dieci ore ma ti svegli e sono ancora le due. Poi ti riaddormenti, passa un'altra infinità di tempo, ti risvegli e sono le 3.30.
Proprio per questo non so dire con precisione se il pensiero che mi è passato in mente la scorsa notte sia frutto di un sogno o di un ragionamento poco lucido, mentre sudavo nel letto a causa della temperatura che saliva costante. 
Pensavo, manco a  dirlo, a Carmelo.  Non faccio retorica, ma sono fermamente convinto che quello che è avvenuto lo scorso week end mi abbia trascinato addosso la febbre più di qualsiasi colpo di freddo. Insomma, ha abolito le mie difese immunitarie. Ma del resto l'ho già scritto: troppe emozioni forti. Capita che collassi e non ce la fai più.
Tornando al sogno (o ragionamento, come preferite), è tutto molto strano. Ed è strano anche che sia ancora qui, nella mia mente. Forse è giusto scriverlo, scusandomi innanzitutto per il mio essere ripetitivo.
Pensavo alla nostra vita come ad una partita. La vita media di un essere umano si avvicina ai novant'anni, anche se purtroppo a volte si ferma sfacciatamente prima. Novanta sono anche i minuti di un incontro di calcio. Facciamo così - mi sono detto. Un anno, un minuto. Da giocare con la solita intensità di chi vuole portare a casa il risultato. Niente intervalli, niente tempo di recupero, a meno che qualcuno lassù non alzi il tabellone luminoso. 
L'obiettvo è quello di fare gol, come al solito. In che modo? Beh, ognuno di noi ha la sua maniera di fare gol, a seconda dei traguardi che si propone. Bisogna lottare, insomma. Lottare, lottare, lottare. 
E' qui, in questo preciso istante, che mi è venuto in mente Carmelo. Il suo viso, la sua faccia, il suo modo di camminare, di correre e di porsi. 
Aveva appena giocato trentasette minuti, lui, ma quanti gol aveva già fatto. Esordio in serie A da giovanissimo nel Napoli con la maglia numero 10 di Maradona. Una vita per la sua squadra, il Benevento, che era riuscito anche ad allenare con successo. Due figli, tanta umanità, tanti amici. Una famiglia ed un popolo che gli sono stati accanto fino all'ultimo istante  stringendosi attorno a lui solo come si fa con i grandi uomini.
E voi sapete cos'è un contropiede? Un contropiede è l'azione più beffarda che esista nel calcio. Stai attaccando nella metà campo avversaria, sbagli un passaggio e l'altra squadra ti prende alla sprovvista, approfitta del fatto che sei sbilanciato ed in velocità si lancia verso la tua porta. 
E' una situazione che solitamente si verifica quando cerchi a tutti i costi di fare gol e ti proietti totalmente in zona offensiva. E' questo il punto. Lui al trentasettesimo era lì ad attaccare, nonostante fosse in vantaggio quattro a zero. Poi qualcuno ha rubato palla sulla tre quarti difensiva e con tre passaggi è andato a fargli gol. Un gol pesante, che non cancellerà mai quanto di buono il Capitano ha prodotto in una vita breve ma intensa come poche. Da allenatore, lui, non avrebbe mai tollerato di prender gol così. Da suo grande tifoso sto ancora aspettando che il guardalinee sbandieri un fuorigioco e l'arbitro annulli tutto. Niente da fare. Purtroppo, tutto regolare.

La foto è di qualche tempo fa...

Francio

lunedì 18 febbraio 2013

Pugni nello stomaco



Non ricordo di aver provato tante emozioni così discordanti e continue come quelle degli ultimi cinque giorni. Non ricordo, per lo meno, che sia accaduto nel corso dell'ultimo anno.

Lasciando perdere i fatti (alcuni noti a tutti, altri solo a me), ciò che  giusto e indescrivibile allo stesso tempo è il turbinio di sensazioni che hanno generato. Quello che hanno scatenato nel mio stomaco letteralmente scombussolato. E stavolta il Mc Donald's non c'entra niente.

Dico la verità. Dopo tutte le esperienze vissute sulla pelle a livello emotivo mi sono convinto che le emozioni non vadano classificate in "piacevoli" e "sgradevoli". La giusta classificazione è tra emozioni profonde ed emozioni superficiali. Tra quelle che senti dentro come un pugno nello stomaco e quelle che invece ti sfiorano il cuore come una carezza. 

Ecco, negli ultimi giorni ho preso solo pugni allo stomaco, ma non tutti hanno fatto male lasciando lividi sui miei fiacchi addominali. Devo dire che ho pianto tanto, e che ho implorato altrettanto qualcuno che oltre le nuvole sicuramente esiste, ma che ogni tanto si distrae come un arbitro che fa finta di non vedere un fallo di mano.

Magari anche lassù hanno Facebook, Twitter o Ruzzle. Magari anche lì pensano alle banalità come spesso faccio io e si dimenticano delle cose importanti. Di persone che sulla Terra soffrono, lottano, si danno da fare per obiettivi massimi o minimi che siano. Che ci mettono il cuore e che non vengono ricompensati. 

Sarebbe assurdo, ora, definirmi non credente. Sto seguendo il corso di Cresima, mi sono preso la responsabilità di tramandare il Sacramento ad un amico. Escludo categoricamente di non credere, ma ci sono episodi che fanno riflettere, che non riesco proprio a spiegarmi. E certi giorni è dura, soprattutto quando i pugni nello stomaco si moltiplicano e da due diventano quattro, otto, sedici.

La vita è questa. A volte è giusto non porsi domande e continuare per la propria strada a testa alta. Provare a guardare oltre l'orizzonte anche se piove, tira vento e c'è un freddo cane. Non è facile, ma bisogna farlo. Lo si deve a chi ha combattuto con la propria vita ed  uscito sconfitto. Lo si deve a chi crede ancora che cambiare le cose, sovvertire i pronostici, sia comunque possibile. 
Nonostante tutto.

FRANCIO



venerdì 15 febbraio 2013

Il contropiede della vita




Quando squilla il telefono alle luci dell'alba e sul display appare il numero di Antonio, il segnale non è mai positivo.
Negli ultimi tre anni è successo diverse volte. E' accaduto anche stavolta e spero non accada più perchè ne ho sinceramente le scatole piene. Ho sempre odiato i "coccodrilli" perchè li ritengo inutili ma in qualche modo devo sfogarmi in questa strana mattina di febbraio che fa seguito ad un San Valentino vuoto di spunti, di riflessioni sane e soprattutto positive.

Per chi non lo sapesse, il "coccodrillo", in gergo, è l'articolo che si butta giù dopo la morte di una persona con lo scopo di celebrarne le gesta e ricordare quanto di buono fatto in vita. Non tutti conoscevano ed hanno avuto il piacere di parlare con Carmelo Imbriani almeno una volta ma vi assicuro che non servivano le parole. Quello che aveva da dire lo esprimeva con lo sguardo. Specchio fedele di un'anima saggia e combattiva.

Non sto qui a celebrarlo perchè i fatti parlano da soli. Capitano della mia squadra del cuore, simbolo sportivo della mia città. Allenatore promettente, prima che la malattia lo colpisse e lo mandasse in trasferta prima a Perugia a combattere da leone, poi in paradiso. A troppi chilometri di distanza.

In piena coerenza con quello che è lo spirito di Camera con Vista, preferisco parlare di cosa mi hanno insegnato lui ed il suo dramma. E non è poco. 
Carmelo ha visto iniziare il suo calvario nell'agosto scorso a causa di una malattia rara definita "linfoma di Hodgkin" che da perfetto ignorante mi sono anche permesso di cercare su Wikipedia. E' qualcosa di brutale, di veramente terribile. Ed è meglio non entrare nel merito.

L'ultima volta che l'ho sentito al telefono per un'intervista era il 26 luglio e la sua voce preoccupava abbastanza da allarmarsi. Colpa di una bronchite, dicevano. Ma poche ore dopo avrebbe lasciato il ritiro aprendo il campo a diverse ipotesi che purtroppo si sono realizzate. Ai primi di agosto sapevo già tutto. Sapevo che non era una cosa semplice, da quattro spiccioli. E la mia reazione la disse lunga.
A dire il vero i miei comportamenti di quei giorni furono ambigui, anche se per una delle rare volte nella mia esistenza non lo diedi a vedere. Perchè la vita è così. Un giorno hai tutto, l'altro niente. E pensare a Carmelo in quelle condizioni mi faceva male ma allo stesso tempo mi dava il coraggio nel fare gesti che prima non avrei fatto. Sembrava che mi dicessi: "Lo vedi Francè. A che serve tirarsi indietro se poi un domani non hai l'opportunità di andare avanti?". Ragionamenti tipici di uno shock.

Sono diventato un po' più cazzuto e superficiale. Meno profondo di prima, più aperto alle delusioni ma anche più coraggioso dal punto di vista morale. Mai prima di allora avrei pensato di poter guardare una donna negli occhi ed essere sincero, e invece lo feci, pagandone anche le conseguenze. E mentre lo facevo pensavo a lui, a quello che stava passando e a come aveva iniziato a  lottare. Pensai che nella vita a volte non bisogna riflettere più di tanto, ma agire. E l'ho fatto altre volte, non solo quella sera. Tante volte in questi mesi che nemmeno riesco a contarle. E' impresa impossibile farlo ora, su due piedi. 

Mentre scrivo sono affranto e mi riesce difficile perfino sviluppare il più semplice dei ragionamenti. Spero solo che un giorno queste lacrime serviranno a qualcosa, ma come potrebbero? Carmelo non c'è più. Se n'è andato nel peggiore dei modi, a soli 37 anni. Senza esultare ne' correre verso il settore ospiti come fece nel Marzo 2005 al Partenio.


Il vuoto è incolmabile. Arrivederci Gladiatore.

FRANCIO


mercoledì 13 febbraio 2013

Ho lanciato una bustina a papà...




(... e l'ho reso felice).
No, tranquilli. Nessun esame, nessuna laurea, nessun premio o articolo di "successo". Devo ammettere che è servito molto meno di una pila di libri da studiare per far sorridere papà. Per vedere nei suoi occhi la stessa luce che sprigionavano quando era bambino lui e quando lo ero io.
Ho sempre ritenuto che sui sorrisi non si può barare. Quando sorridi per finta lo si vede subito. Quando invece sei sincero non solo cambia la tua faccia, ma anche la tua anima.

Ieri sera mamma e papà erano andati a fare visita a zia Carmela e io e il mio raffreddore li abbiamo raggiunti un'oretta dopo. Prima di parcheggiare definitivamente la macchina di fianco al portone, ho deciso di fare tappa all'edicola accanto per comprare dieci pacchetti di figurine.
Lo so, alla mia età andrebbero  di moda le sigarette, ma una settimana fa, a tarda sera, scovai papà che quasi di nascosto incollava i "Calciatori" sul suo nuovo album. Quando mi vide non aveva una faccia tranquilla; reagì come se lo avessi scovato con le mani nel barattolo di marmellata.
"Ma che stai facendo?"  - gli chiesi ridendo. "Niente, stavo vedendo una cosa...". Questa la sua risposta. Decisamente balbettante.

Sarò anche un po' imbranato ed impacciato, ma non così scemo. Capii fin da subito che stava iniziando la raccolta e che aveva intenzione di rivivere le emozioni del tempo che fu.
Quando ero bambino mi riempiva di pacchetti. Me li faceva trovare la mattina sotto al cuscino e la sera a cena sotto al piatto. Io ero contentissimo di scartare, anche se i calciatori li conoscevo a stento. Quando sei bambino  - ma anche adesso, nel mio caso - non vedi l'ora di scartare pacchi o regali. E' una cosa che ti gratifica.

C'è da dire che negli anni Novanta le figurine costavano molto meno rispetto ad oggi, quindi ci si poteva anche sbizzarrire, in un certo senso, comprandone in quantità davvero maestosa. Ora sto capendo che probabilmente io ero solo la giustificazione di quel giochino. Che non ero altro che il ponte tra il suo passato, il suo presente ed il suo futuro. Una cosa bestiale. Fantastica, al solo pensiero.

Tornando a ieri sera, dopo aver salito le scale insieme a Floriana ed averlo trovato sul divano a guardare la televisione con mamma e zia, ho deciso di lanciargli una bustina.
Così, all'improvviso. Proprio come faceva lui una quindicina di anni fa.
Tutto d'un tratto i suoi occhi erano identici ai miei un decennio e mezzo fa. Stesso discorso per la sua reazione:

- "Ma come Francè? Una sola?".


 - "Sì, sì, sì... una sola papà..."


Le altre nove gliele darò piano piano.
"Una alla volta. Altrimenti non c'è sfizio, dai...".
Me lo diceva sempre, quando ero un marmocchio. Ora sono clamorosamente io a ricordarlo a lui.


FRANCIO










mercoledì 6 febbraio 2013

Ma tu, dove sei?






Dove sei mentre annaspo in un mare di carta?

Dove sei mentre perdo le mie convinzioni?

Dove sei mentre sciupo il mio tempo ad immaginare?

Dove sei quando ti imploro e ho bisogno di te?

Dov'eri quando ci hanno insegnato che le cose più belle si costruiscono insieme?

Insieme. 

Parola inutile, probabilmente. Se solo non ci fosse qualcuno a darle un senso.

Io ti aspetto, ma tu dimmi dove sei. E svelami il tuo vero volto.


Francio

sabato 2 febbraio 2013

Casa Famiglietti





Sentirsi un forestiero nella propria città. "Casa Famiglietti" è il luogo in cui forse mi sono riscoperto per la prima volta un ospite nel mio territorio. Mai avrei pensato che in un appartamento alle porte del Triggio (quartiere storico di Benevento) sarei rimasto coinvolto da un'atmosfera così poco sannita ed esageratamente "global".
Pina è la padrona di casa. Ragazza solare, alla mano e... irpina! Già, forse nel suo nome c'è anche la provenienza (per i meno abili nei giochi di parole, ir...Pina. Appunto!). La prima volta che ci ho messo piede lei non era presente e a fare gli onori di casa furono le sue coinquiline Giulia, Simona e Antonella. 
Qui andrebbero tracciati identikit precisi, ma visto che di pomeriggio amo scrivere a braccio, vi lascio giusto immaginare che persone siano. Simona è pugliese di Barletta, appassionata fotoreporter per finta, vegana e soprattutto esuberante. Se le metti in mano una videocamera sei finito. 
Documenta per filo e per segno ogni tuo atteggiamento per poi montarlo in appositi video pubblicati ad arte, Divertenti e appassionanti, proprio come le serate che viviamo quando ci ritroviamo.
Giulia e Antonella non sono da meno. La prima è di Alife, provincia di Caserta, la seconda di Ariano Irpino. Stanno al gioco (qualche volta anche troppo... vero?) e menano le danze fornendo spunti al nostro diverimento. Pina ha un unico difetto, ed è inutile che vi dica qual è... per il resto, se si convertisse alla fede giallorossa, sarebbe totalmente a posto. Ma giusto domani c'è il derby quindi non voglio dilungarmi su questo aspetto altrimenti finiremmo anche per bisticciare... A lei va il mio grazie per l'ospitalità mostrata in ogni occasione.
Sapete, è davvero difficile scrivere di casa Famiglietti. pensavo fosse più semplice. Sarà che là dentro non si ragiona più di tanto e ci si da alla pazza gioia, ma non riesco a documentare attraverso la scrittura le nostre pazzie. Il che, conoscendomi, è abbastanza preoccupante. Posso solo dire che in quell'abitazione perdo la concezione dell'essere padrone di casa e mi riscopro forestiero all'ombra delle Mura Longobarde. Una cosa strana che nella mia città non mi era mai capitata.

Ma come si suol dire, c'è sempre una prima volta...

Vi lascio con un video di Simona. Sono certo che valga molto più di quanto scritto finora. E' terribile buttare giù venti righe senza aver raggiunto il proprio scopo. Ma non mi va di cancellarle, quindi le pubblico lo stesso. Sono pur sempre meglio di niente...


A presto, casa Famiglietti!






venerdì 1 febbraio 2013

Il dolce respiro di una fotografia



A far capolino tra i libri di Storia Contemporanea ed il mio nuovo computer non è altro che una fotografia. Emerge dal nulla come un cammello nel deserto o un albero in fondo ad una strada sterrata.
E' uno degli scatti a cui sono legato di più, tanto è vero che è forse l'unico reperto che ho deciso di incorniciare e a cui fornire il giusto risalto. Si riferisce ai quarant'anni di mia madre, 16 agosto 2000.
A Castelpagano -  paese al confine con il Molise -  in quel periodo dell'anno si respira sempre un'aria fresca, ben diversa da quella a cui siamo abituati in città.
Come ho già scritto in passato su questo blog, Castelpagano è il paese dei miei nonni, conta meno di duemila abitanti e gode di un'età media avanzata che probabilmente lo condannerà ad un ulteriore svuotamento nei prossimi anni. Ma non è del paese che voglio parlare. Stavolta preferisco concentrarmi sulla foto.

Quando sfoglio l'album dei ricordi provo sempre sensazioni particolari. Innanzitutto penso ai momenti vissuti insieme alla mia famiglia, alcuni dei quali conservo ben impressi nel cuore e nella mente. Poi mi rendo conto che ho avuto da sempre la fortuna di far parte di un gruppo unito, che ha remato continuamente nella stessa direzione tenendo un gran ritmo. Più passa il tempo e più capisco che non è una cosa da poco perchè non tutti hanno la mia fortuna.  
Per fare un esempio banale, teoricamente io sarei figlio unico da quasi ventitrè anni ma nella pratica questa cosa non l'ho mai avvertita. Il perchè è spiegato anche da questo scatto. Quattro sorrisi sinceri di quattro persone fondamentalmente diverse.

A sinistra rispetto a mia madre c'è Gianmarco, il mio cugino più "famoso" per peripezie, avventure ed incidenza. Lui nel duemila aveva appena quattro anni. Cosa volete che ne capisca di una foto un bambino di quell'età? Eppure sorride, abbraccia mamma e si presta al gioco. Dall'altra parte c'è Floriana, altra mia cugina, tre anni più piccola di me. La conosco abbastanza per sbilanciarmi: da come guarda l'obiettivo mi viene da pensare che chi aveva in mano la macchina fotografica stesse facendo una battuta che le piacesse. Flo ha un umorismo diverso dal mio, si è sempre distinta. Ride solo per battute serie (ecco perchè raramente riesco a farla sorridere...). Devo riconoscere che chi aveva sparato la sua "massima" in quel momento aveva fatto bingo perchè Flo sembra abbastanza soddisfatta...
Quanto a mia madre, ho sempre avuto un debole per lei. Chiaro, non solo perchè è mia madre. La ritengo davvero una persona eccezionale, soprattutto vista con occhi esterni. A volte mi piace osservarla senza partecipare attivamente alle sue azioni e me ne rendo conto.  Un po' premurosa (va detto, non solo con me) ma sempre gentile ed aperta con tutti, talvolta sbagliando. Credo che questa sia la caratteristica di chi ama la vita in tutte le sue sfaccettature. A quarant'anni sei a metà del viaggio e inizi anche a guardarti indietro. Quel giorno lei era felice, lo ricordo perfettamente. E se arrivi felice a quarant'anni, non puoi fare a meno di sperare che quelli successivi saranno migliori dei precedenti...

Ecco, la speranza - di cui mi nutro quotidianamente - me l'ha inculcata lei. Spesso sperare mi mette in difficoltà, ma da quello che so se non accompagni questo elemento con delle azioni, non serve a niente. Insomma, la speranza è come l'insalata. Va accompagnata con un po' di condimento, altrimenti hai voglia ad aspettare che prenda sapore...

Chiusa questa breve parentesi, quasi dimenticavo di parlare di me. Del "me della foto".  Rido anche io, con un sorriso da pagliaccio (stavo già imparando ad esserlo nonostante i miei dieci anni...). In realtà, a parte i capelli e qualche dente che ho sostituito, non sono cambiato di molto. Un eterno Peter Pan che crede ancora nell'Isola che non c'è... 


FRANCIO