Lei camminava a testa alta, con lo sguardo dolce e fiero, proseguendo per la sua strada su uno dei tanti marciapiedi storici di Benevento. Io avevo appena parcheggiato la mia automobile in divieto di sosta, fiero a mia volta di aver trovato un parcheggio che fosse ad un tiro di schioppo dalla redazione. Tanto lì i vigili non sono mai passati a controllare.
I miei occhi l'avevano inquadrata già nel momento in cui le mani erano intente a tirare su il freno a mano. I suoi occhi, invece, mi hanno scrutato pochi secondi dopo. Il tempo di uscire dall'auto e sentire quel brivido che tre, al massimo quattro persone hanno saputo regalarmi finora. Una di queste è Carmen Amelio.
Non mi sono mai chiesto quanti anni avesse quando vestivo il grembiule azzurro, quindi non me lo chiedo neanche adesso. Quelle come lei sono donne senza età. Vivono sospese al centro di un vorticoso valzer di piroette che solo il tempo sa regalare. Bene, lei con il tempo ci scherza, ed è una delle poche a riuscirci. In fondo si sa, il tempo è galantuomo e gli uomini galanti raramente abbozzano una risata.
Mentre penso al "chissà se si ricorda di me", le sue immense labbra si muovono:
<<Francesco!>>.
Un nome risuona in via Giuseppe Pasquali, ed è il mio. "Maestra, professoressa, signora? E ora come la chiamo?", penso tra me e me alquanto imbarazzato. Intanto faccio partire un sorriso costruito.
"Non ci posso credere, si ricorda di me..." - continuo a pensare. Alla fine opto per un generico <<Buonasera>>, che non fa mai male.
Non mi andava di classificarla con titoli scolastici o professionali. Mi sarebbe venuto più naturale chiamarla mamma, lo confesso. Nessuna persona è mai più riuscita a farmi imparare una poesia a memoria, nessuna che sia mai stata così determinante nello stimolare la mia voglia di apprendere. Nessuna donna è stata mai così capace di incutermi timore e simpatia allo stesso tempo.
Insomma, era lì, davanti a me: Carmen Amelio. La "maestra Carmen", per gli amici. Insegnava italiano alle mie amate scuole elementari, quando cercava di indirizzarci prima a vivere e poi a capire la grammatica. In fin dei conti le due cose sono abbastanza simili, con un po' di fantasia. E lei riusciva benissimo a coniugarle come verbi.
Oggi, in via Pasquali, aveva la solita luce negli occhi e il solito profumo sulla pelle. Non voleva mollarmi più ma quel che diceva era interessante e coinvolgente. Capelli rossi, labbra carnose, viso giovane ed eleganza unica al mondo. Al collo un foulard attorcigliato in modo particolare. Solo una persona che conosco lo indossa così, ma questo è un dettaglio che credo interessi a pochi.
<<Allora Francesco, della tua vita cosa ne stai facendo?>>
Beh, cosa ne sto facendo. Forse la sto buttando via in chiacchiere.
Questo è ciò che avrei risposto. E invece...
<<Eh, cosa dire. La redazione di Ottopagine è lì dietro, oltre quei palazzi, vicino la chiesa. Collaboro per l'edizione sportiva online. Nel frattempo manca poco alla laurea in Scienze della Comunicazione, ma non so davvero dove sarò tra qualche anno.>>
Bugia. Mancano quattro esami, e considerando la mia testa non sono pochi. Ma dovevo sbrigarmela in qualche modo.
<<Come dici? Sei un giornalista sportivo e la laurea è vicina? Chissà quanto sarà contenta tua madre. Che donna eccezionale, salutamela affettuosamente..>>
Il discorso è iniziato così ma è poi andato avanti a lungo, credo almeno venti minuti. Abbiamo affrontato moltissimi temi e non nascondo che gli occhi erano lucidi come nelle occasioni importanti.
Eravamo io, lei, il suo foulard e la passione per la lingua italiana che non ha mai smesso di trasmettermi. Quando ho avuto dubbi su me stesso, sulle mie ambizioni, ho pensato spesso alle sue lezioni e mi sono tirato su. Penso a tutti quei bambini (o meglio, ragazzi. Oggi si cresce troppo in fretta...) che hanno l'onore di averla davanti ancora. E a cosa si sia perso chi non l'ha mai conosciuta.
<<Con il cuore di una mamma ti auguro tutto il bene del mondo. E mi raccomando. Non dimenticarti mai delle cose semplici: sono loro a fare la differenza>>.
Poi è sparita, come in un film, indirizzando il suo vagare verso Corso Garibaldi.
Io intanto ero lì impietrito ad osservare un altro corso, quello degli eventi.
"Anche questa è storia", mi sono detto. Ho incontrato la mia musa ispiratrice nel momento di massimo bisogno. E le cose, ne sono certo, non accadono mai per caso.
FRANCIO.
- Nota a margine -
Carmen e Carmela sono due nomi che si somigliano molto. Ho una cugina che si chiama allo stesso modo della maestra ed una zia che invece ha il nome "italiano" e a cui dedico questo intervento. Poi c'è un'altra Carmela, precisamente Carmela Tripaldi.
Come dite? Volete sapere chi è? In realtà non lo so neanche io, e non so nemmeno se esiste. Fatto sta che mio cugino Riccardo, il romano, dice che è la mia fidanzata...
Tranquilli voi e tranquillo Riccardo, sono ancora single. Questo affare non lo fa nessuno.
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