Una conchiglia che sussurra modernità, questa è Valencia. Intanto il vento che l'abbraccia ti accarezza la pelle, allontana i pensieri e scatena suggestione.
Ci sono sei delfini, di cui non conosco il nome. Ammaliano una folla colma di gioventù, mentre un leone marino trasmette il senso di umanità sconosciuto all'umanità stessa.
Nella vita non si finisce mai di imparare, ma certe cose sui libri non ci sono scritte. Comprate una qualunque guida turistica, sfogliatene le pagine, poi gettatela pure via. Il profumo della carta e della stampa potrà anche piacervi ma non riuscirà mai a pareggiare ciò che vedrete con gli occhi. Ciò che bagnerà i vostri capelli, prenderà le vostre mani e bacerà le vostre guance.
La vita non è teoria. Non solo, almeno. E' soprattutto pratica. Ti capita di pensarlo quando all'interno del Mestalla - lo stadio di Valencia - fai un respiro profondo ed assapori la storia. Non la storia del calcio, altrimenti sarebbe banalità pura. Mi riferisco ad una cultura, ad una fede che va aldilà della palla rotolante. La signora incaricata a condurci nella pancia di uno dei tempi del calcio europeo ha gli occhi lucidi quando gli chiedo del futuro della squadra locale: "Lo stadio è sempre pieno, ma siamo sommersi dai debiti. Il Valencia sta soffrendo tanto, ha le tasche vuote. Consoliamoci con il passato...".
Capita spesso che ci si consoli con il passato. E' un ritornello noto a tutti. Io sono il primo a cantarlo con tutti quei ricordi spruzzati qua e là all'interno del mio blog. Una cosa è certa: entrare ed uscire dal Mestalla, parlare con quella donna, mi ha fatto sentire una persona nuova, lo ammetto. Eppure nè io nè il mio migliore amico le abbiamo chiesto come si chiamasse. Forse ci ho anche pensato, ad un certo punto della visita, ma ho lasciato correre. E' giusto che in certi casi, proprio come nelle leggende, le persone che incrociano il tuo cammino non debbano avere un nome, ma solo un volto che rimanga impresso nella mente insieme al suo ricordo.
E' quello che più o meno è successo in centro, quando un simpatico cameriere portoghese ci ha spiegato come andassero le cose da quelle parti davanti ad un piatto di Paella: "Volete sapere dov'è la movida? Ve lo spiego subito. Proseguite per duecento metri, poi girate a destra, troverete un vicolo. Al termine del vicolo svoltate a sinistra e poi nuovamente a destra. Poi continuate dritto per cinquecento metri e troverete un altro vicolo che vi condurrà a Plaza de la Virgin, nel Barrio del Carmen. Lì c'è tutto quello che cercate. Non è lontano.".
Ovviamente ci perdemmo.
Quella sera, a cena, accanto a noi c'era un gruppo di inglesi di età avanzata. Tre di Nottingham ed una di Manchester. Il leader carismatico dei quattro era un tifoso del Brighton, la persona giusta con cui abbozzare un discorso sul calcio. La donna di Manchester mi stupì intervenendo all'improvviso: "Did you stay in England, guy? Your English is perfect!" (Sì, vabbè, e tu sei Queen Elizabeth...).
Poi vidi sul loro tavolo il boccale di Sangria. Era vuoto, non era rimasta neanche una goccia. E tutto a quel punto mi fu chiarissimo...
Nella foto, lo chef Francio. A sinistra il braccio di uno dei quattro inglesi.
See you soon!